Sospesa la vendita dei bunker militari svizzeri
In un'intervista, il capo dell'esercito ha rivelato che nell'ambito di un nuovo piano difensivo, si preferisce conservarli.
Era diventata ormai una tradizione. Da oltre un decennio, l’esercito svizzero metteva in vendita i suoi bunker militari inutilizzati. Secondo le dichiarazioni che il comandante di corpo Thomas Süssli ha rilasciato al quotidiano svizzero di lingua tedesca TagesAnzeigerCollegamento esterno, la prassi è stata ora interrotta.
Dietro la decisione ci sarebbe un nuovo orientamento strategico provocato dal conflitto in Ucraina. “Decentralizziamo sempre di più” per evitare che un avversario possa mettere fuori uso le forze armate con un bombardamento, ha dichiarato Süssli. Aggiungendo che non sarebbe un problema, il fatto che è ormai ben nota la posizione geografica di molte delle infrastrutture. “Dobbiamo lavorare con quello che c’è”, ha spiegato.
Torna la guerra fredda?
L’intervista ha creato un certo scalpore nella Confederazione. La rete di bunker militari svizzeri è infatti una vestigia di altri tempi. Il primo fu costruito nel 1886, seguito da molti altri nei successivi decenni. A partire dal 1937, si deve al generale Henri Guisan la strategia nota come “Ridotto nazionaleCollegamento esterno“: strutture di difesa fortificate, dove possibile invisibili all’occhio umano, che avrebbero dovuto garantire il controllo del territorio negli anni di tensione fra le due guerre mondiali. I bunker furono poi ampliati, e costantemente ristrutturati, negli anni della Guerra Fredda.
In seguito a successive riforme dell’esercito, dal 1995 in poi le fortezze sono per lo più state evacuate e la loro collocazione geografica è stata desecretata. A partire dai primi anni del Duemila, l’esercito ha cominciato a metterli in vendita. Un’iniziativa che ha suscitato curiosità, e in qualche caso ilarità, nel Paese ma anche all’estero. “Un bunker tutto per te”, una delle battute ricorrenti. Spesso privi di finestre e collocati in zone impervie del Paese, sono stati trasformati nelle infrastrutture più disparate: da musei, a depositi per banche dati, ma anche alberghi, locali notturni, fino a cantine private per conservare il vino o gli oggetti che non trovano più spazio fra le mura domestiche.
Mentalità elvetica e geopolitica
L’approccio svizzero al bunker è d’altronde celebre in tutto il mondo. Solo in Svizzera, infatti, per l’intera popolazione sono previsti spazi appositi in cui ci si possa nascondere in caso di catastrofeCollegamento esterno. L’abitudine è da sempre al centro di reportage giornalistici e chiunque abiti nel Paese conosce a menadito le procedure di sicurezza, compreso l’annuale test delle sirene d’allarme.
Altri sviluppi
L’obbligo tutto elvetico di avere ognuno il proprio bunker antiatomico
Ma è l’aspetto geopolitico della questione “bunker”, a sollecitare da sempre l’interesse internazionale. Per un piccolo Paese al centro del continente Europa, c’è chi sostiene esserci qualcosa di eccentrico nella convinzione che di fronte a disastri di proporzioni apocalittiche, un bunker possa rappresentare la salvifica soluzione. E in particolare in tempi di guerra ad alta tecnologia, l’approccio elvetico alla materia continua a sorprendere.
Raccontano allora le cronache, che un programma segreto di costruzione di un centinaio di nuovi fortini high-tech, dal costo di un miliardo di franchi, fosse stato completato nel 2003. Un programma tanto segreto, in effetti, da finire all’epoca su tutti i giornali. I “ministri” che nei decenni si sono succeduti a capo del dicastero federale della difesa hanno comunque continuato a difendere la strategia federale di investire in strutture fortificate, per tradizione definite “inattaccabili”, perché rappresenterebbero una difesa inespugnabile in caso di “attacco nemico”.
L’Ucraina, il Kosovo e la NATO
L’intervista di Thomas Süssli riapre così un’antica controversia. E se per due decenni si è insistito sulla vendita delle vecchie infrastrutture per risparmiare centinaia di milioni di franchi per la loro manutenzione, a quanto pare il conflitto in Ucraina ha portato l’esercito svizzero a ripensare la sua strategia, bunker compresi. “Puntiamo alla decentralizzazione”, ha sottolineato Süssli, spiegando che in questo momento l’esercito starebbe facendo i conti di tutto il materiale a sua disposizione, dagli aerei alle infrastrutture, per prepararsi a difendere il Paese.
L’intervista rilasciata al TagesAnzeiger ha toccato anche temi delicati, come la collaborazione della Confederazione con la NATO. Il capo dell’esercito svizzero ha infatti dichiarato che renderla più stretta consentirebbe alle truppe elvetiche di esercitarsi anche in Germania, Francia e Austria. E ha citato come “buona pratica” che mostra la buona relazione con il Patto atlantico, l’impegno della Svizzera in Kosovo, che secondo lui potrebbe essere potenziato.
Spie e pallottole
Süssli ha infine menzionato che il Paese avrebbe già incrementato le attività di spionaggio, mentre ha rifiutato di rivelare troppi dettagli sulla questione dell’approvvigionamento di munizioni. Accennando, tuttavia, al fatto che sarebbe a suo parere problematica l’attuale situazione. Da circa un anno, infatti, l’azienda statale per gli armamenti Ruag si rifornisce dal produttore italiano Beretta. “Sarebbe opportuno che la Svizzera avesse una certa autonomia in materia”, si è sbilanciato Süssli.
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