La televisione svizzera per l’Italia

Streaming a pagamento, in Svizzera si batte cassa più che altrove 

schermata di smartphone con icone di app di streaming
Recentemente i diritti della Serie A italiana sono passati a DAZN. Un nuovo abbonamento da pagare, quindi. KEYSTONE

Consumatrici e consumatori svizzeri devono pagare sempre di più per i servizi di streaming, ma anche per poter vedere gli eventi sportivi. Come mai?  

Pochi giorni fa il servizio di streaming DAZN, specializzato in eventi sportivi, ha comunicato di aver ottenuto l’esclusiva per la Svizzera fino al 2027 di tutte le partite del campionato della Serie A italiana. Brutta notizia per gli appassionati e le appassionate di calcio tricolore nella Confederazione, che finora lo potevano seguire grazie a Blue Sport (offerta sportiva dell’operatore Swisscom). Brutta perché si ritroveranno, se vogliono continuare a seguire i match, a dover pagare a DAZN la “modica” somma di 34.90 franchi al mese (per un abbonamento minimo di un anno, 49.90 al mese senza contratto).  

Un ulteriore abbonamento a un nuovo servizio, quindi. E si ritroveranno con un altro abbonamento (quello di Blue Sport), di cui non hanno più bisogno. Oltre il danno, la beffa: proprio negli ultimi giorni il servizio di streaming sportivo della Swisscom ha comunicato alla sua clientela gli ultimi cambiamenti. Offrendo una riduzione di prezzo? No, in realtà ha fatto l’esatto opposto: aumenterà il costo dell’abbonamento dagli attuali 29.90 franchi a 34.90 a partire dal 1° settembre. Tariffa identica, quindi, a quella di DAZN. Interpellata da blick.chCollegamento esterno, Blue Sport giustifica la decisione di aumentare le tariffe affermando di offrire alla clientela “l’offerta di calcio più ampia della Svizzera”.

Le e gli abbonati hanno perso la Serie A italiana e la Ligue 1 francese, ma, viene spiegato, ora possono vedere, oltre alle partite della Super League e quelle delle competizioni europee, anche la Premier League (tramite Canal+) e LaLiga spagnola. Si tratta, dicono, di “un abbonamento unico appetibile e conveniente rispetto agli standard nazionali e internazionali. Gli adeguamenti dei prezzi sono necessari per rimanere competitivi nel mercato altamente concorrenziale dei diritti sportivi”.

Va così in fumo la speranza che, con la perdita della Serie A, il prezzo avrebbe potuto essere ridotto. Prima dell’annuncio di Blue Sport avevamo parlato della questione con Ivan Campari, redattore responsabile della Borsa della Spesa, rivista dell’Associazione delle consumatrici e dei consumatori della Svizzera italiana ACSICollegamento esterno, che si era detto poco fiducioso in un simile gesto da parte dell’azienda. Timori che, quindi, si sono rivelati fondati. Bisogna ora vedere se Blue Sport dovrà fare i conti con un’ondata di disdette da parte di tifose e tifosi scontenti che opteranno per DAZN o che rinunceranno del tutto a guardare le partite dal divano di casa. L’ACSI, ha assicurato il giornalista ticinese, monitora la situazione: “Siamo sicuri che prossimamente ci arriveranno segnalazioni da parte dei nostri membri”.

Ricordiamo che chi paga un abbonamento TV di base, solitamente non ha a disposizione i canali che trasmettono le diverse partite, siano esse di hockey su ghiaccio o di calcio. C’era un tempo – non molto lontano – in cui molti di questi eventi erano visibili gratuitamente. Si pensi per esempio, racconta Campari, che “le partite di Champions League erano visibili in chiaro alla Radiotelevisione pubblica della Svizzera italiana RSI, commentate in italiano. Era un’ottima offerta che in altri Paesi non si poteva avere”.  

Non solo sport 

Oltre a quelli sportivi, si moltiplicano anche le offerte di servizi di streaming per guardare film o serie TV. Anche in questo caso negli ultimi anni i prezzi sono continuamente e inesorabilmente aumentati. Non solo: anche a chi faceva il “furbetto” condividendo la password con gli amici, dividendo così i costi, sono stati messi i bastoni tra le ruote. Ha iniziato Netflix, introducendo l’obbligo, per tutte le persone che usano uno stesso account, di collegarsi almeno una volta al mese alla stessa rete domestica. Presto, con molta probabilità, seguiranno anche i suoi concorrenti.  

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Certo, i fornitori hanno creato anche dei pacchetti a costi contenuti, ma il consumatore, oltre a pagare la tariffa standard, paga anche con il suo tempo: esistono infatti gli abbonamenti a prezzi ridotti, che però includono annunci pubblicitari impossibili da “skippare”. Per chi ha visto la serie, questa strategia ricorda molto un episodio di Black Mirror: nel secondo episodio della prima stagione i protagonisti guadagnano crediti – che hanno la stessa funzione dei soldi – pedalando su delle cyclette tutto il giorno. Crediti che perdono se, mentre guardano uno delle centinaia di programmi con i quali sono bombardati ogni giorno, decidono di saltare la pubblicità. Un sistema, quello delle pubblicità, a cui ricorre Disney Plus, il cui pacchetto meno costoso (7.90 franchi al mese) include le pubblicità.  

Non è l’unico metodo che il consumatore ha per risparmiare. Come spiega Ralf Beyeler, esperto di moneyland.chCollegamento esterno, “non è solo tramite la pubblicità che i clienti ricevono sempre meno servizi. Un altro metodo molto popolare è quello di ridurre la risoluzione dell’immagine”. Nel caso di Netflix, per esempio, il pacchetto di base da 12.90 franchi al mese offre film e serie in HD, quello standard in Full HD e quello premium in Ultra HD. 

Un risparmio, tra l’altro, da relativizzare: dal 2014, anno del suo lancio in Svizzera, il costo dell’abbonamento di gamma media di Netflix è aumentato del 47%. Secondo uno studio condotto da moneyland.chCollegamento esterno, quello di Apple TV Plus addirittura dell’82%, quello di Swisscom Blue Sport del 67%, ma chi ha pagato il prezzo più alto sono gli abbonati di DAZN: 171%.  

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La concorrenza non ha fatto calare i prezzi.

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Una giungla di abbonamenti che finisce con il costare cifre abbastanza elevate. “Rispetto a quanto paga per vedere la TV tradizionale [quindi pagando il canone annuo di 335 franchi,  ndr] il consumatore sicuramente ci rimette”, aggiunge Campari. È la conseguenza di volere le cose à la carte, scelta della maggioranza delle consumatrici e dei consumatori oggigiorno. Trovare un unico servizio che contiene tutto è difficile, ma – soprattutto se si vuole risparmiare qualcosa – vale la pena di valutare la televisione tradizionale. Non bisogna dare per scontato che non sia interessante”. È una questione di scelte, insomma. “Se si vuole tutto bisogna pagare di più”.  

Sei in Svizzera? Paghi di più. 

Questo “tutto”, inoltre, non è lo stesso “tutto” di altri Paesi, spiega il nostro interlocutore. “Come svizzeri non siamo messi benissimo. Il catalogo proposto dalle piattaforme di streaming è molto scarso perché la Confederazione è un mercato piccolo, al quale bisogna fornire i servizi in diverse lingue. È soprattutto la clientela ticinese a pagare questo prezzo poiché le traduzioni in italiano sono ancora meno”. Ovviare al problema in maniera legale si può: usare un servizio VPN. Ancora una volta, però, si tratta di tecnologie e costi aggiuntiviCollegamento esterno.  

Non dimentichiamo, inoltre, che per molti servizi, le tariffe elvetiche sono più elevate di quelle in altri Paesi.  

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Il consumatore svizzero, quindi, è una “vacca da mungere”? In breve, la risposta è ‘sì’. “Chi fornisce questi servizi è ben cosciente del potere d’acquisto della cittadinanza elvetica e sa che si può facilmente permettere tariffe maggiorate rispetto ad altri Stati”, spiega Ralf Beyeler. ” A onor del vero, però, va detto che i fornitori di streaming hanno aumentato i prezzi anche in altri Paesi, nella maggior parte dei casi probabilmente molto più dell’inflazione nazionale”.  

Il modello di business di queste aziende è chiaro, aggiunge dal canto suo Campari: “Partono con prezzi molto bassi per catturare un grande numero di clienti. Poi fanno aumentare le tariffe in maniera graduale. Non si tratta mai di aumenti repentini. È la classica immagine della rana nella pentola di acqua fredda. Quello che il consumatore deve pensare è che i prezzi irrisori che gli vengono presentati non durano in eterno e sono sicuramente destinati ad aumentare.  A differenza, per esempio, del canone Radio-TV, che invece di aumentare, è diminuito nel corso degli anni”. C’è inoltre da dire che il cliente, una volta che è abituato a un servizio che lo soddisfa, difficilmente ci rinuncia ed è quindi pronto ad accettare i cambiamenti.  

Cambiare le abitudini per pagare meno 

È possibile fermare questa ‘corsa all’aumento’, allora? Ralf Beyeler è convinto di sì: “Naturalmente. Nessuno è obbligato a utilizzare un servizio di streaming. Se un numero di clienti abbastanza elevato decide di cancellare i propri abbonamenti perché i prezzi sono troppo alti, i fornitori di streaming dovranno reagire e abbassare le tariffe. Ma fino a quando i clienti sopporteranno questa situazione, non cambierà nulla”. 

Le associazioni per la protezione delle consumatrici e consumatori, dal canto loro, tengono sott’occhio la situazione. “Quando le segnalazioni ci arrivano, noi facciamo tutte le verifiche del caso e, laddove possibile, interveniamo. È sicuramente più facile farlo con aziende svizzere. Sulle multinazionali la nostra influenza è invece molto ridotta”, conclude Campari.   

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