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Tracollo evitato di Credit Suisse: le domande ancora aperte a un anno di distanza

strada con auto e semaforo
UBS ha molte ambizioni, ma avrà luce verde? KEYSTONE/© KEYSTONE / MICHAEL BUHOLZER

È passato un anno da quando Credit Suisse è stato risparmiato da un crollo catastrofico grazie all’acquisizione da parte della sua rivale UBS. La fusione d’emergenza delle due grandi banche svizzere è tuttora in corso e alcune importanti questioni sono ancora in sospeso.

UBS riuscirà a portare a termine con successo la fusione?

La fusione è un’impresa mastodontica e durerà fino alla fine del 2026. In occasione di una presentazione a febbraio, l’amministratore delegato di UBS Sergio Ermotti ha identificato 6’000 compiti da assolvere per portare a termine l’acquisizione.

Ermotti ha aggiunto che il 2024 è un “anno cruciale” nel processo. Nei prossimi mesi UBS avrà poco margine per gli errori, poiché dovrà affrontare il compito critico e delicato di fondere le infrastrutture informatiche di entrambe le banche prima di trasferire i dati della clientela nel nuovo sistema.

Alla fine del 2023, UBS aveva già tagliato 16’000 posti di lavoro in tutto il mondo, con una riduzione particolarmente accentuata negli Stati Uniti e nei centri di investment banking di Londra.

Quest’anno UBS inizierà a sopprimere 3’000 posti in Svizzera. L’obiettivo è di risparmiare 13 miliardi di dollari (11,5 miliardi di franchi svizzeri) entro la fine del 2026.

La grande domanda, a cui per ora non c’è risposta, è se UBS riuscirà a portare a termine questa impresa.

Sullo sfondo c’è la potenziale spada di Damocle della Commissione della concorrenza svizzera, che non ha ancora espresso pubblicamente la sua posizione ufficiale sulla fusione.

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UBS rappresenta un rischio o un’opportunità?

Credit Suisse doveva essere salvato con un’acquisizione d’emergenza perché il suo crollo improvviso e totale avrebbe causato danni considerevoli al settore finanziario svizzero e al sistema bancario globale.

UBS è oggi l’unica banca globale con sede in Svizzera, con una somma di bilancio pari al doppio dell’economia del Paese.

La banca non ha mai evocato un potenziale fallimento della fusione, ma solo di una rapida crescita una volta portato a termine il processo, ad esempio aumentando il patrimonio della clientela facoltosa sotto gestione da 3’800 miliardi a 5’000 miliardi di dollari nei prossimi anni.

“Le ambizioni di crescita di UBS mi rendono molto nervoso”, ha dichiarato a marzo al quotidiano Handelszeitung il professore dell’Università di Berna Aymo Brunetti, che in passato è stato responsabile della politica economica presso la Segreteria di Stato per l’economia (SECO). “Posso capirle da un punto di vista commerciale, ma da un punto di vista economico è molto problematico. Il rischio che corriamo tutti sta diventando sempre più grande”.

Il caso di Credit Suisse ha dimostrato che anche una banca affermata e apparentemente di successo può crollare quando il management e la strategia sbagliati sono confrontati con condizioni difficili.

Un fallimento di UBS sarebbe un disastro per migliaia di dipendenti, risparmiatori e risparmiatrici e imprese che utilizzano i servizi della banca. Il Governo svizzero sta cercando disperatamente di evitare che si debba intervenire con un potenziale salvataggio da parte dello Stato, mettendo a rischio i fondi del contribuente.

Da che parte soffierà il vento della regolamentazione?

La politica avrà un ruolo importante da svolgere nella regolamentazione delle banche in futuro. Berna permetterà a UBS di portare avanti i suoi piani di crescita o deciderà di ridimensionare la banca?

Il dibattito su come controllare le grandi banche infuria in Svizzera dalla crisi finanziaria del 2008, quando a dover essere salvato dallo Stato fu UBS.

“Naturalmente la BNS è consapevole che le dimensioni possono rappresentare un vantaggio”, ha dichiarato nel 2009 l’allora capo della Banca nazionale svizzera (BNS), Philipp Hildebrand. “Tuttavia, nel caso delle grandi banche internazionali, l’evidenza empirica sembrerebbe suggerire che queste istituzioni hanno da tempo superato le dimensioni necessarie per sfruttare appieno questi vantaggi. Non ci possono essere più tabù”.

Queste argomentazioni sono tornate d’attualità a distanza di anni.

Quando Credit Suisse ha rischiato di fallire nel 2023, per risolvere il problema avrebbero dovuto essere applicate le norme bancarie svizzere “Too Big to Fail” (Troppo grandi per fallire). Ma il Governo ha deciso che era meglio orchestrare l’acquisizione da parte di UBS piuttosto che rischiare un tentativo di liquidare Credit Suisse in modo ordinato.

La Svizzera non avrà questa possibilità in caso di fallimento di UBS. Nelle prossime settimane, quindi, il Governo presenterà al Parlamento i suoi piani per rafforzare ulteriormente la regolamentazione.

Ci sono diverse nuove proposte sul tavolo, che vanno dall’obbligo per le banche di detenere maggiori riserve di capitale per far fronte agli shock, alla suddivisione di UBS in unità più piccole fino all’aumento dei poteri dell’autorità di regolazione finanziaria svizzera. Ma c’è scarso consenso politico sulla strada migliore da seguire.

Secondo Aymo Brunetti, se il sistema politico non riuscirà a trovare una soluzione normativa, c’è solo una soluzione sensata: “In questo caso, la Svizzera non potrà ospitare una grande banca attiva a livello globale, il che significa che la sede di UBS dovrebbe essere trasferita all’estero”.

Articolo a cura di Virginie Mangin

Traduzione di Daniele Mariani

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