Due anni e mezzo al reclutatore jihadista
Il Tribunale penale federale ha condannato a due anni e mezzo, di cui sei mesi da espiare, un 33enne ticinese di origine turca, ex agente di sicurezza, che ha fatto opera di proselitismo per un gruppo islamista.
L’uomo, arrestato lo scorso 22 febbraio mentre lavorava come sorvegliante in alcuni centri per richiedenti l’asilo, sarà rilasciato a breve, poiché ha già scontato la quasi totalità della pena.
Tra propaganda e ‘foreign fighters’
Durante il dibattimentoCollegamento esterno, che si è svolto con rito abbreviato, l’imputato ha riconosciuto le accuse formulate dal Ministero pubblico della ConfederazioneCollegamento esterno (MPC) e ammesso di aver sbagliato, pur precisando di non aver mai obbligato nessuno ad aderire alle sue idee.
L’imputato è stato riconosciuto colpevole della Legge federaleCollegamento esterno che vieta i gruppi Al Qaeda e autoproclamato Stato islamico.
Fra il gennaio 2014 e l’arresto, ha organizzato azioni propagandistiche per conto del gruppo ribelle Jabhat Al-Nusra. Nel 2015, ha aiutato combattenti stranieri a raggiungere le zone di guerra in Siria e Iraq per unirsi all’Isis.
Nel 2016 in Svizzera
- 497 utenti di Internet identificati per propaganda jihadista
- 5202 controlli sulle domande d’asilo
- 14 richieste d’asilo che il Servizio attività informative della Confederazione (SIC) ha consigliato di respingere
- 122 divieti d’entrata in Svizzera emessi dalla polizia federale
- 107 di queste persone sopettate di terrorismo o sostegno a gruppi vietati
Complessivamente, a fine anno
- 60 procedimenti penali in corso contro aderenti all’Isis o simili o aspiranti tali
- 81 persone partite dalla Svizzera per la jihad
- 30 con passaporto elvetico
“Un punto di riferimento”
Il 33enne era diventato un punto di riferimento per diversi radicalizzati. Uno dei suoi proseliti, ad esempio, gli aveva chiesto l’approvazione per partire come ‘foreign fighter’ nell’ottobre 2016.
Si serviva di messaggi, telefonate e social network, ma incontrava i “candidati” anche di persona, in case private o locali pubblici del Luganese.
“La morte da martire nell’islam è considerata la morte migliore poiché è scritto nel Corano e il martire che muore combattendo nel nome di Allah raggiunge il paradiso”, figura su uno dei messaggi riportati nell’atto d’accusa.
Fiancheggiatore dell’Isis malgrado i distinguo
In altri scritti, il militante spiega la differenza tra l’Isis e il gruppo Jabhat Al-Nusra, verso il quale ha convinto almeno quattro persone a convergere. Non è con attentati in Europa e nel mondo che si fa la jihad, spiega, bensì combattendo in Paesi come Siria e Iraq dove i musulmani sono oppressi e bisogna liberare la popolazione.
Malgrado non aderisse alla visione dell’Isis, il turco-svizzero ha aiutato due persone a unirsi all’autoproclamato Stato islamico.
In un caso, ha fornito all’aspirante jihadista indicazioni sui bus da prendere per recarsi dalla Turchia in Siria e gli ha consegnato 100 franchi, in un altro ha ospitato il futuro combattente e la moglie nella sua casa in Turchia prima che raggiungesse la Siria, dove è morto nel dicembre 2015.
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