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UBS rinuncia al sostegno statale

persone davanti alla sede di UBS
L'operazione di acquisto di Credit Suisse da parte di UBS era stata conclusa in fretta e furia lo scorso marzo. © Keystone / Michael Buholzer

L'acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS non avrà nessuna conseguenza sui contribuenti svizzeri. La banca elvetica ha rescisso venerdì il contratto di garanzia a copertura delle perdite concordato con il Governo e la Banca Nazionale Svizzera.

La Confederazione e la sua popolazione possono tirare un sospiro di sollievo: non subiranno alcuna perdita in seguito all’acquisizione lo scorso marzo di Credit Suisse da parte di UBS.

Il colosso bancario elvetico ha infatti annunciato venerdì Collegamento esternodi voler porre fine volontariamente agli accordi di garanzia con lo Stato e la banca centrale, concepiti per facilitare la transazione e proteggere UBS da eventuali rischi che a causa della rapidità con cui è stata conclusa l’acquisizione non potevano essere valutati correttamente.

UBS aveva ricevuto un sostegno di nove miliardi di franchi dallo Stato, accompagnato da un cosiddetto Public Liquidity Backstop (garanzia per l’erogazione di mutui a sostegno della liquidità) da parte della Banca Nazionale Svizzera (BNS) per un importo massimo di 100 miliardi.

Questi prestiti hanno garantito che le due banche avessero liquidità sufficiente per completare la transazione.

Garanzie non più necessarie

Dopo aver esaminato “in modo esaustivo” il portafoglio di titoli di rischio coperto dalle misure di sostegno federali, UBS ha concluso che non erano più necessarie.

Di conseguenza, la banca ha richiesto una “cessazione volontaria” degli accordi con la Confederazione, con effetto dall’11 agosto.

UBS pagherà 40 milioni di franchi svizzeri alla Confederazione come compensazione per l’attuazione di queste misure.

La banca ha inoltre annunciato che Credit Suisse ha rimborsato integralmente i prestiti supplementari di sostegno alla liquidità concessi dalla banca centrale.

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Aiuti “indispensabili”

Le misure di sostegno concesse dal Governo, dalla BNS e dalla Finma, l’autorità di regolamentazione dei mercati finanziari, “erano divenute indispensabili a seguito della grave crisi di fiducia nei confronti di Credit Suisse”, rileva la BNS in un comunicato.

Complessivamente gli aiuti concessi ammontavano a “un massimo di 168 miliardi di franchi” e sono stati “interamente rimborsati”.

“Con l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS è stata trovata una soluzione per assicurare la stabilità finanziaria e tutelare l’economia svizzera in questa situazione straordinaria”, aggiunge la BNS.

“Non posso nascondere di essere sollevata”, ha commentato da parte sua la ministra delle finanze Karin Keller-Sutter. “Il fallimento di Credit Suisse avrebbe avuto conseguenze incalcolabili non solo per l’economia svizzera ma anche per quella mondiale”, ha proseguito la consigliera federale, ammettendo tuttavia che ora si deve riflettere sui meccanismi di regolamentazione che potrebbero essere messi in atto in Svizzera.

Karin Keller-Sutter ha poi criticato la dirigenza di Credit Suisse: “Ci siamo trovati in questa situazione perché una banca ha evidentemente preso decisioni sbagliate nel corso degli anni”.

Non è la prima volta

Per la Confederazione l’operazione si chiude in definitiva in positivo. “Nel complesso, la garanzia a copertura delle perdite e i mutui a sostegno della liquidità con garanzia in caso di dissesto hanno portato nelle casse della Confederazione circa 200 milioni di franchi”, indica in una notaCollegamento esterno il Dipartimento federale delle finanze. La BNS ha da parte sua incassato 537 milioni.

Non è la prima volta che in Svizzera lo Stato deve intervenire massicciamente per evitare il tracollo di un gigante bancario. Nel 2008 in seguito alla crisi dei subprime era stata UBS a dover far capo agli aiuti della Confederazione. All’epoca il Governo aveva varato un piano di salvataggio per un ammontare di circa 70 miliardi di franchi.

Anche allora, però, l’operazione aveva avuto esito positivo. Oltre a salvare UBS, il piano aveva fruttato alla Confederazione 1,2 miliardi.

+ Per saperne di più su quanto avvenuto nel 2008 e sul piano per salvare UBS.

La spada di Damocle delle azioni legali

Per la Confederazione e le sue finanze vi è però ancora un grande punto interrogativo: le innumerevoli azioni legali avviate in Svizzera da parte di circa 3’000 persone detentrici di un determinato tipo di obbligazioni di Credit Suisse.

Il valore delle cosiddette obbligazioni AT1 era stato azzerato dalla Finma, dopo l’acquisizione da parte di UBS. Questa misura aveva creato molto scalpore. Complessivamente il valore di questi titoli era di circa 17 miliardi di franchi.

+ Se accolte queste cause potrebbero costare caro alla Confederazione 

Ricadute politiche

L’annuncio di venerdì avviene a poco più di due mesi dalle elezioni federali in programma a fine ottobre. Se fossero sorte delle complicazioni (e perdite per i contribuenti), il piano di salvataggio – criticato sia da sinistra che da una parte della destra – rischiava di costare caro in particolare al Partito liberale radicale (PLR), spesso considerato il partito delle banche. Al timone dell’operazione vi è stata la ministra delle finanze, la liberale radicale Karin Keller-Sutter.

Non è un caso che proprio il PLR sia stato il primo partito a reagire, elogiando “l’azione rapida e decisiva del Consiglio federale” in questa crisi, grazie alla “guida prudente di Karin Keller-Sutter”.

Gli ultimi sviluppi – ha proseguito il PLR – hanno anche “dimostrato l’irresponsabile teatrino politico dell’Unione democratica di centro (destra sovranista, ndr) e della sinistra durante la sessione speciale di aprile”, durante la quale i due schieramenti avevano sconfessato il Governo, respingendo le garanzie federali.

+ Un no del Parlamento al piano di salvataggio di Credit Suisse prima di tutto simbolico

Il capogruppo dell’UDC e consigliere nazionale Thomas Aeschi ha da parte sua difeso la scelta del suo partito di rifiutare in Parlamento il prestito a UBS. Come già si sospettava, lo scorso marzo la situazione finanziaria del Credit Suisse era “manifestamente molto migliore” di quella presentata. Per l’esponente dell’UDC è “deplorevole” che la Finma e il Consiglio federale non siano stati in grado di garantire il mantenimento di due grandi banche in Svizzera.

Anche i Verdi hanno espresso un certo scetticismo. La decisione di UBS di rinunciare alle garanzie statali solleva dubbi: il salvataggio era davvero così privo di alternative come sostenuto dalla consigliera federale Karin Keller-Sutter?, si chiede il partito ecologista. Inoltre, per i Verdi sussistono ancora “enormi rischi finanziari per i contribuenti”, che andranno essere ridotti al minimo nel quadro della revisione della regolamentazione “too big to fail”.

Secondo l’Alleanza del Centro “le conclusioni della Commissione parlamentare d’inchiesta – presieduta dalla “senatrice” centrista Isabelle Chassot  – mostreranno dove è necessario intervenire”. Per il partito è positivo che UBS non abbia più bisogno di garanzie statali. Ma bisogna evitare che in futuro la Svizzera debba salvare un’altra banca, scrive il partito su X.

Migliaia di impieghi in pericolo

Il processo di fusione tra le due banche è però lungi dall’essere concluso. La più grande incognita riguarda attualmente i posti di lavoro.

Una prima grossa ondata di licenziamenti dovrebbe essere annunciata in settembre.

Prima dell’acquisizione, UBS impiegava poco più di 72’000 persone in tutto il mondo, mentre Credit Suisse oltre 50’000. Stando alle ultime indiscrezioni, UBS sarebbe pronta a ridurre la sua forza lavoro del 20-30%. Tra i 25’000 e i 36’000 posti sarebbero così a rischio. Solo in Svizzera i tagli potrebbero riguardare 11’000 dipendenti.

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