L’arte del ricevere e il ballo dei salamelecchi
Ancora oggi trovo sconcertante che a Berna ti invitino per un barbecue e sia pacifico che ognuno si porti le sue salsicce. A Roma sarebbe considerato cattiva educazione chiedere agli ospiti di portarsi la cena da casa.
A Roma funziona così: ti invito per pranzo aperitivo cena e tu porterai un mazzo di fiori, un “pensierino” o una bottiglia di vino. Hai voglia di cucinare? Mi telefoni e mi chiedi se la cosa è gradita e cosa mi farebbe comodo, per lavorare un po‘ meno o magari risparmiarmi la corsa in pasticceria.
Il “grill”, l’orgoglio nazionale
A Berna? Tutta un’altra storia. A cominciare dal “grill”, orgoglio nazionale. Appena smette di fare freddo, gli Elvezi corrono fuori dalle tane e felici ruminano all’aperto. Può essere un cortile condominiale, un parco pubblico oppure un giardino o terrazza privati. Si accende il barbecue e si mangia a oltranza. A Roma non esiste questa cosa. Anzitutto, perché fa quasi sempre caldo, quindi la fascinazione per il focherello da noi ‘tira’ poco. Inoltre, non ci verrebbe mai in mente di litigare con l’amministratore del condominio per attizzare un fuoco anche perché parliamone, nella città eterna anche la più “scrausa” (modesta) pizzeria vanta un forno a legna e dunque serve magnifiche scamorze, pizze, salsicce e tutto il cucuzzaro.
“Appena smette di fare freddo, gli Elvezi corrono fuori dalle tane e felici ruminano all’aperto”.
Dove sono nata e cresciuta io, il “grill” è un esotismo da spiaggia, una di quelle esperienze che fai da giovane se vai in vacanza in tenda. Avendo sposato un bernese, e qui abito da venti anni ormai, anche al grill mi sono lentamente adeguata. Ancora oggi trovo sconcertante, però, che qui sia pacifico che i padroni di casa si occuperanno di stoviglie, bevande e contorni, ma ognuno si porterà le sue salsicce. Tanto che se ti invitano per il grill, a domanda “Cosa porto?” ti rispondono coerenti “Noi facciamo i contorni e c’è tanto da bere”.
A Roma sarebbe considerato cattiva educazione, chiedere agli ospiti di portarsi la cena e credo che tutte le mie zie rischierebbero un infarto, se gli invitati si presentassero con bistecche al seguito. Pensi che non ti diamo abbastanza da mangiare? Non ti fidi del nostro cibo? Ritieni che siamo in caduti in miseria? Roba da mettere in crisi un’amicizia.
Una romana a Berna deve darsi parecchio da fare anche per comprendere le convenzioni locali sui saluti. Dove sono cresciuta, infatti, arrivi e abbracci i padroni di casa e le persone che conosci. Agli altri gran sorrisi, se hai una personalità particolarmente estroversa lancerai un Ciao sono Serena!
…qui devi presentarti a tutti…
Durante l’evento sociale forse farai amicizia, o forse no. Quando infilerai il cappotto per tornare a casa, sparerai un Ciao a tutti, un abbraccio agli amici e già guidi in tangenziale. A Berna, è il contrario. Quando arrivi, devi presentarti ad ogni singolo individuo. Porgi la mano, dici Ciao, mi chiamo Serena e poi ma che piacere conoscerti Antonella, e hopp passi alla prossima persona.
Confesso che ancora oggi, dopo venti anni, la dinamica mi fa venire l’ansia. Implica mettere su un sorrisone falso perché non hai idea se Antonella è una simpatica o un incubo, ma in ogni caso ti tocca la pantomima. Ormai parlo tedesco e comprendo lo svizzero-tedesco, eppure è ovvio che non sono nata qui e allora ogni Antonella mi chiederà: ma tu sei ticinese? Sei venuta qui per studio, lavoro? Ah, ma quante lingue parli? Insomma, pur con il modo discreto e cortese che si usa a queste latitudini, di fatto partirà l’interrogatorio.
Il ballo dei salamelecchi ricomincia implacabile al momento di andare via. Allora arrivederci Antonella, è stato un grande piacere conoscerti, ti auguro ogni bene, alla prossima, ma si speriamo di rivederci presto, grazie, altrettanto, grazie anche a te, ciao, grazie, arrivederci. Moltiplica per ogni persona presente. Ci vuole del tempo e ci vuole una gran pazienza e determinazione a mantenere i muscoli facciali belli tesi.
Queste convenzioni sono talmente radicate a Berna, che a quattro o cinque anni i bambini sono già in grado di riprodurle. Così vedi questi nanetti che ancora usano il ciuccio porgere la mano a ogni singolo ospite. Magari hanno passato il pomeriggio a correre e giocare con altri bimbi, ma ci puoi scommettere che al momento di andare via come piccoli soldatini si metteranno in fila per porgerti la mano e dire Danke, Tschüüs.
Biglietti di ringraziamenti, rigorosamente via posta
Da queste parti, complice magari il fatto che i servizi postali funzionano, si usano poi ancora le cartoline e i biglietti di ringraziamento. Fatti a mano, colorati, con adesivi, scritti con pennarelli dorati… inevitabilmente ne riceverai dopo avere fatto una festa, prima di Capodanno, alla vigilia di Pasqua. Il tono è sempre quello: formale, descrittivo e caloroso, un diluvio di complimenti e frasi gentili. A Roma invece, sarà perché si vive navigando a vista nel caos metropolitano, le convenzioni sociali sono decisamente più rilassate.
I biglietti di ringraziamento nella città eterna si usano di rado, forse anche perché nessuno si fida della posta. Quando imbuchi una lettera, metti in conto che non è detto che verrà recapitata al destinatario. Si tratta di un fenomeno misterioso, eppure considerato perfettamente normale.
Negli anni ho scoperto che la magia avviene anche quando spedisco da Berna a Roma. Dalla capitale della Confederazione al Canton Ticino, tutto bene. Passata la frontiera, si salvi chi può. Forse arriva, forse no, magari ci mette sette settimane. Nel dubbio, sulla spedizione postale sono risolutamente bifronte. Elvetica entro i confini nazionali, romana appena passo la frontiera.
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