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Una decisione sull’adesione alla NATO è inevitabile, afferma il presidente della RUAG

Il presidente di Ruag Nicolas Perrin
Mantenere una produzione autonoma di armi e munizioni in Svizzera non è abbastanza redditizio per l'industria elvetica, afferma il presidente di RUAG Nicolas Perrin. © Keystone / Ti-press / Pablo Gianinazzi

Per Nicolas Perrin, presidente del consiglio d'amministrazione dell'azienda di armamenti di proprietà della Confederazione, la Svizzera dovrà presto o tardi porsi la domanda dell'adesione al Patto Atlantico.

In un’intervista pubblicata sabato dal Tages-Anzeiger, Perrin spiega che in futuro la RUAG sarà chiamata sempre più spesso a fare manutenzione di sistemi d’armamento collegati a quelli della NATO. “In un mondo sempre più connesso, dovremo interrogarci sempre più spesso sulla neutralità e sulla sua interpretazione”, osserva il presidente del cda dell’azienda, il cui unico azionista è la Confederazione. Inevitabilmente il nodo di un’adesione al Patto Atlantico verrà al pettine: “Non potremo fare a meno di dover rispondere a questa domanda”.

La produzione autonoma di armi e munizioni non è redditizia per l’industria dell’armamento elvetica, sottolinea inoltre Perrin. Il mercato svizzero è troppo piccolo. La legislazione sulle esportazioni è troppo rigida. La produzione indipendente avrebbe senso solo se ogni componente fosse prodotta nella Confederazione. “È possibile acquistare materiale bellico, come le munizioni, all’estero e immagazzinarlo e eseguire le manutenzioni in Svizzera in caso d’emergenza”.

La RUAG si è trovata recentemente sotto la luce dei riflettori per due vicende collegate tra di loro. L’ormai ex amministratrice delegata dell’azienda, Brigitte Beck, ha dovuto rassegnare le dimissioni dopo delle esternazioni con le quali invitava Paesi come la Germania o la Spagna a ignorare il veto della Confederazione alla riesportazione di materiale bellico svizzero in Ucraina. La RUAG aveva inoltre chiesto l’autorizzazione alle autorità federali di riesportare verso la Germania 96 vecchi carri armati Leopard 1 immagazzinati in Italia. Berna ha però risposto negativamente, poiché l’acquirente – la Rheinmetall – voleva riesportarli in Ucraina.

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