L’italianistica naviga controvento
Le cattedre di italianistica svizzere non navigano in acque proprio tranquille. Minoritarie all’interno delle facoltà, sono spesso tra quelle che si trovano più sotto pressione quando si tratta di risparmiare. Per dare continuità e sicurezza all’insegnamento dell’italiano, i responsabili delle cattedre cercano di sensibilizzare il mondo politico.
«Assistiamo a una lenta ma costante erosione della nostra disciplina; le risorse diminuiscono, così come le ore di insegnamento»: la radiografia di Tatiana Crivelli, responsabile della cattedra di Letteratura italiana all’Università di Zurigo, non può che preoccupare i difensori della lingua di Dante e più in generale chi si impegna per preservare il plurilinguismo svizzero.
Per sensibilizzare il mondo politico, l’intergruppo parlamentare ItalianitàCollegamento esterno ha organizzato martedì 8 marzo a Berna un incontro che ha riunito in particolare parlamentari delle quattro regioni linguistiche e professori universitari.
In Svizzera esistono attualmente otto cattedre di italianisticaCollegamento esterno, quattro nella Svizzera tedesca (Basilea, Berna, Zurigo e San Gallo), tre nella Svizzera francese (Friburgo, Ginevra e Losanna) e una nella Svizzera italiana, a Lugano. All’Università di Neuchâtel e al Politecnico federale di Zurigo, le cattedre di italianistica sono invece state soppresse nel 2005. Quest’ultima scuola è poi parzialmente ritornata sui propri passi due anni dopo, istituendo la cattedra De SanctisCollegamento esterno, priva però di un professore titolare.
‘Cosa porta all’economia’?
L’insegnamento dell’italiano è minacciato? Il pericolo non è così incombente. Tuttavia, come annotato dal consigliere nazionale liberale radicale Christoph Eymann, il clima attuale non incita all’ottimismo: «Il portfolio delle università diventa sempre più utilitaristico e sempre più spesso si sente la domanda ‘questa materia cosa porta all’economia?’».
«All’interno delle università, l’italiano è in una situazione di fragilità. È minoritario e ogni volta che c’è un pensionamento vi è il rischio che il posto venga soppresso», sottolinea Maria Antonietta Terzoli, che dirige l’istituto di italianistica dell’Università di Basilea.
Non tutto però è così nero, rileva dal canto suo Uberto Motta, professore all’Università di Friburgo: «La disseminazione dell’italiano, va ben al di là dei confini dell’italofonia». Attualmente quasi il 60% dei circa 650’000 italofoni che risiedono in Svizzera, vive nella Svizzera tedesca e francese. E per quanto concerne il numero di studenti iscritti alle facoltà di italiano (circa 1’000 in tutto il paese), si tratta di una cifra tutt’altro che esigua, continua il professore, tracciando un interessante paragone con l’Università La Sapienza di Roma (vedi video).
Ma cosa può fare la politica per migliorare la situazione? A livello federale, poco. In Svizzera, infatti, le università (ad eccezione dei due Politecnici federali di Zurigo e Losanna) sono di competenza cantonale. Sono quindi i cantoni che dettano la politica universitaria. «Non mi sembra determinante che sia la Confederazione a intervenire, per me la priorità va data ai cantoni e credo che lo sappiano e lo vogliano fare», sottolinea Christoph Eymann, intervistato dalla RSI. In caso contrario, vi è il rischio di un graduale sgretolamento dell’italiano in Svizzera e in definitiva di una delle grandi ricchezze della Svizzera: il suo plurilinguismo. «L’alternativa – rileva Lorenzo Tomasin, professore all’Università di Losanna – consiste nell’adozione progressiva di una lingua unica, quella che io chiamo il globish. Ma ciò significherebbe entrare in una logica distruttiva».
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