Femminicidi, alle radici della violenza
Undici donne uccise in Svizzera nei primi tre mesi dell'anno. Uno specifico progetto volto a prevenire un fenomeno sempre più allarmante che non risparmia neanche la Confederazione.
Ci sono a volte mancanze voluminose. Mancanze ingombranti. Come quella di una definizione univoca di femminicidio. Un vuoto che complica il lavoro di Sylke Gruhnwald, uno dei volti dietro al progetto di ricerca Stop Femizid.
“Certo, il dizionario Duden prevede la definizione di femminicidio, definizione che esiste anche a livello europeo e nella ricerca”, ci spiega la giornalista. “Però non c’è nulla di simile sul piano politico. Anche in Svizzera non è disponibile una spiegazione su cui concordino le varie parti coinvolte, come le autorità inquirenti, i ricercatori o i giornalisti. E la scorsa estate il Parlamento ha rigettato l’introduzione di una definizione univoca”.
La frammentarietà lessicale, in ogni caso, non è in grado di disorientare Sylke Gruhnwald. Al contrario: la incoraggia nel suo intento.
“Il nostro obiettivo è documentare tutti i femminicidi che si verificano in Svizzera quali forme di violenza strutturale, la cui origine è da ricercare nei rapporti di potere patriarcali della nostra società”. Un obiettivo attorno al quale lo scorso anno si sono riunite Gruhnwald, Nadia Brügger e Pauline Martinet, e che oggi può essere recepito anche nella Svizzera italiana grazie alla traduzione della pagina web www.stopfemizid.chCollegamento esterno.
Undici femminicidi nei primi mesi del 2021
Non c’è una definizione univoca, ma ci sono i dati. Undici femminicidi, tre tentati: sono le cifre di questi primi mesi dell’anno. L’ultimo è quello avvenuto il 28 marzo a Bellinzona. Una lista che è destinata, visti i dati sommersi, a essere incompleta.
Georgiana Ursprung di Brava, già Terre des femmes Schweiz, sostiene Stop Femizid: “Servono dati più precisi sulle cause e sui retroscena dei femminicidi in Svizzera. Inoltre, è necessaria un’applicazione coerente della Convenzione di Istanbul, che la Svizzera ha firmato: penso a una piattaforma di consulenza attiva 24 ore al giorno per le vittime di violenza, di facile accesso e disponibile in tutto il Paese”, dichiara.
“Servono poi più posti nelle case per donne e per ragazze maltrattate, anche per persone disabili, più mezzi finanziari – in generale – nella lotta contro la violenza sulle donne e infine un’operazione di sensibilizzazione, che interessi anche le autorità come la polizia e i servizi sociali. È importante che la violenza contro le donne venga chiamata per quello che è”.
No alla rappresentazione diretta della violenza
Il potere del linguaggio chiama direttamente in causa anche i media. Sylke Gruhnwald ne è consapevole e, anche in questo caso, ha le idee chiare. “Anche noi giornalisti possiamo contribuire a fare prevenzione. Abbiamo una grande responsabilità quando riferiamo della violenza contro le donne. Sulla stampa si vedono spesso ricostruzioni di scene di violenza contro le donne.
Preferibili sono però altre immagini: una tazzina in frantumi sul pavimento, un letto vuoto su cui giace, abbandonato, l’orsacchiotto di un bimbo. Sul nostro sito mettiamo a disposizione dei media a titolo gratuito immagini di questo tipo, foto sfocate che esulano dalla rappresentazione diretta della violenza”.
Il lavoro è tanto, ma le donne di Stop Femizid non si arrendono. Perché il principio – conclude la giornalista – è tanto semplice quanto potente:
“Se quantificazione significa rappresentazione, come dice Jonathan Stray, esperto di giornalismo dei dati, allora il contare e l’inserire i dati in una cartina offrono la possibilità di mettere i potenti davanti alle loro responsabilità”. Una massima che, per Gruhnwald e le sue colleghe, funge e continuerà a fungere da stella polare.
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