Record di morti per droga durante la pandemia negli USA
I numeri evidenziano il fallimento della politica repressiva contro la droga varata negli anni '70. E ora in alcuni stati si guarda con interesse al modello elvetico.
Nel 2020 ci sono stati oltre 93’000 decessi per overdose negli Stati Uniti, il 30% in più in un anno. Ma soprattutto, da quando è stata impressa dall’amministrazione Nixon nel 1971 una svolta repressiva per il contenimento del fenomeno, le morti hanno continuato inesorabilmente ad aumentare ogni anno e le carceri si sono riempite di piccoli spacciatori e consumatori.
La criminalizzazione del fenomeno ha fatto incrementare gli ospiti nelle prigioni federali dai 46’000 detenuti nel 1986 ai 219’000 nel 2013. Con il risultato che le importanti risorse destinate a combattere i reati minori sono venute a mancare contro il colossale e ricco traffico degli stupefacenti che è prosperato come non mai, estendendosi a nuove sostanze (oppiacei, cocaina, crack, droghe sintetiche) e categorie di consumatori.
Le conseguenze sociali di questa politica incentrata unicamente sulla repressione sono ora sotto gli occhi di tutti: emarginazione delle fasce più deboli e precarie e incremento dell’illegalità in alcune comunità sfavorite (gli afroamericani rischiano sei volte di più di finire in carcere).
Per porre un limite alla lunga scia di morti e di disperati molti Stati hanno liberalizzato il consumo delle droghe leggere e altri, come Rodhes Island, guardano ora con interesse all’esperienza elvetica, varando programmi di distribuzione controllata delle sostanze stupefacenti (la politica dei quattro cerchi: prevenzione, trattamento, riduzione del danno e regolazione), come documentato nel reportage del Tg che segue.
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