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Antonio Raggi, lo scultore ticinese oscurato dall’ombra di Bernini

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Il Danubio (a sinistra) della Fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona è una delle tante opere di Antonio Raggi. Keystone

Antonio Raggi beneficiò in vita dell’amicizia e del sodalizio artistico con Gian Lorenzo Bernini, ma dopo la loro morte fu oscurato dall’ombra del Maestro. A 400 anni dalla nascita, la sua abilità e innovazione artistica, che hanno aperto la strada alle sensibilità settecentesche, sono al centro di una rivalutazione.

Fare un giro per il centro storico di Roma significa necessariamente trovarsi di fronte a decine di capolavori del Barocco realizzati dai due più grandi maestri del tempo: Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. Il primo napoletano, il secondo ticinese. Ma anche l’opera di Bernini, in realtà è intrinsecamente legata al Ticino, perché uno dei suoi maggiori collaboratori che ha di fatto affiancato costantemente Bernini nel suo lavoro romano era proprio di quelle parti: Antonio Raggi.Collegamento esterno

Ma guai a pensare che Raggi fosse un semplice esecutore dell’idea dell’artista napoletano o uno dei tanti collaboratori. Quello tra Raggi e Bernini fu un sodalizio artistico quasi tra pari. “Per questo motivo penso che Raggi sia un artista che merita una rivalutazione”, spiega a tvsvizzera.it lo storico dell’arte Jacopo Curzietti. “Se in vita l’artista ticinese ha beneficiato della presenza e della guida di Bernini, da un punto di vista storiografico successivamente è stato offuscato dall’ombra del maestro. Quest’anno ricorrono i 400 anni dalla nascita di Raggi, ma molti dei suoi meriti e delle sue peculiarità artistiche restano ancora poco riconosciuti rispetto all’arte del Bernini”.

Da Vico Morcote a Roma

Nel suo libro Antonio Raggi, scultore ticinese nella Roma Barocca (Aracne Editrice), Curzietti decide di dedicare il primo capitolo alle origini del Raggi e di intitolarlo “La variabile ticinese”. In cosa consiste questa “variabile”?

Antonio Raggi è nato nel 1624 a Vico Morcote, piccolo villaggio che domina il lago di Lugano. Una zona che in quegli anni era molto diversa da come la si conosce oggi. La vita non era semplice e le opportunità economiche erano scarse. Eppure quelli che oggi chiamiamo “i ticinesi” a partire dal Trecento si specializzarono prima nell’estrazione del materiale lapideo e poi nel lavoro edile. Così cominciarono a emigrare in giro per l’Europa, in particolare nelle città della Penisola, prima come lavoratori stagionali (nelle località più facilmente raggiungibili), poi in pianta stabile.

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Domenico Fontana, il capostipite

Se la grandissima parte di questi ticinesi era formata da lavoratori attenti, organizzati e meticolosi, non mancarono le personalità che si distinsero per la loro genialità. Tra questi ci fu senz’altro Domenico Fontana, capostipite degli artisti ticinesi a Roma.

“Con la chiamata da parte di Papa Sisto V di Domenico Fontana a Roma come architetto ufficiale di Santa Romana Chiesa ha inizio una sorta di drenaggio costante dei ticinesi nell’Urbe”, spiega Curzietti.

Tra questi anche il nostro Raggi. Antonio arrivò a Roma piccolissimo al seguito del padre Andrea, muratore di Vico Morcote che decide di spostarsi sulle rive del Tevere sfruttando una fitta rete di relazioni con la comunità ticinese che, intanto, si era stabilizzata lì.

Il rapporto di Raggi con la comunità ticinese romana sarà costante fino al momento della morte. Ce lo dicono diversi indizi. Intanto, il fatto che sia cresciuto e abbia vissuto gran parte della sua vita nel Quartiere Alessandrino. Cioè lì dove insisteva la comunità ticinese dell’epoca. E poi il legame con Ercole Ferrata, altro scultore della zona degli Intelvi, con il quale firmò molti progetti. E non solo. Furono loro due, ad esempio, a firmare l’inventario dei beni terreni di Francesco Borromini quando questo si tolse la vita. Altra dimostrazione della compattezza della comunità ticinese dell’epoca.

A proposito di Ercole Ferrata, esiste una vicenda che accosta il suo nome a quello di Antonio Raggi… letteralmente. Tutto risale agli anni Trenta del Novecento, quando Giuseppe Delogu pubblica un lavoro pioneristico per l’epoca sulla scultura barocca romana. Delogu utilizza come fonte uno scritto del Seicento redatto dallo storico Filippo Baldinucci che indicando i nomi della cerchia di collaboratori di Gian Lorenzo Bernini scrive “Ercole, Antonio Raggi”. Oggi sappiamo che Baldinucci omise (non sappiamo il motivo) il cognome di Ferrata, indicando solo il nome “Ercole”. Ma Delogu – e con lui molti altri – mal interpretarono l’errore di Baldinucci ipotizzando un doppio nome del nostro Raggi. Da quel momento in poi molti studiosi iniziarono a riferirsi a lui come Ercole Antonio Raggi.

Così ancora oggi su molti testi – scientifici o divulgativi – è utilizzato il doppio nome “Ercole Antonio” nonostante siano oramai stati dimostrati l’errore di omissione e Baldinucci e quello di interpretazione di Delogu.

Raggi, un “giovine prestantissimo”

L’aver collaborato con Gian Lorenzo Bernini lo porta a partecipare ad alcuni tra i maggiori cantieri del Seicento romano. Quella in cui si specializza Raggi è un’arte scultorea e pubblica. Bernini era uno degli artisti principali al servizio dei papi per trasmettere un messaggio religioso e politico alle masse. E quindi lo stesso Raggi diventa strumento di comunicazione dei pontefici.

E dunque troviamo Raggi all’interno di cantieri come quello della Fontana dei Quattro Fiumi a piazza Navona, dove scolpisce la celebre statua del Danubio. Lo troviamo impegnato all’interno della Basilica di San Pietro, in gran parte della decorazione plastica della cattedra di San Pietro. “Quindi parliamo effettivamente di due dei pilastri artistici della Roma di quel tempo, ma lo troviamo impegnato in tante attività chiesastiche proprio perché quelli sono i grandi cantieri di Gian Lorenzo Bernini”, spiega lo storico. E quindi, grandi opere di Raggi si trovano nella chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, nella Chiesa del Santissimo Nome di Gesù e grazie anche all’intermediazione di Gian Lorenzo Bernini, in alcune cappelle gentilizie, all’interno delle chiese di Roma.

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La statua di San Carlo Borromeo della Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane di Carlo Borromini, è opera di Antonio Raggi. wikipedia

“È una produzione molto proficua quella di Antonio Raggi. Lo stesso Gian Lorenzo Bernini in una lettera lo ricorda come un ‘giovine prestantissimo’. Quindi un artista capace di lavorare con estrema dimestichezza il materiale lapideo, caratteristica comune a gran parte degli scultori comaschi. Ma soprattutto lui ha la qualità di riuscire a farlo con estrema rapidità. E dal momento che un artista del Seicento ha alle proprie spalle un committente che lo paga e molto spesso gli fornisce, anche economicamente, il materiale, è essenziale che lavori bene ma soprattutto che lavori rispettando le scadenze, che sono prefissate in termini contrattuali”, spiega l’autore.

Il rapporto con Bernini

Insomma, sebbene l’opera scultorea di Raggi sia stata apprezzata dai più grandi maestri della sua epoca, successivamente il nome di Antonio Raggi è andato incontro a un oblio legato proprio alla grandezza del suo mentore.

Eppure, come spiega Curzietti, a Raggi va dato atto di essere stato un esempio per le generazioni future: “Mi rendo conto che molto spesso parlare di scultori di seconda fila del Barocco romano probabilmente già implica parlare a una cerchia abbastanza ristretta di persone. Se poi si aggiunge che il nome di Raggi sia stato offuscato da Gian Lorenzo Bernini, un gigante del Seicento, per me è un ulteriore motivo di dispiacere perché si tratta di un artista di particolare importanza”.

A differenza di ciò che si potrebbe pensare, non si tratta di un semplice imitatore di Gian Lorenzo Bernini. “Si tratta di un artista che riesce magistralmente a interpretare lo stile del maestro – prosegue Curzietti. Laddove necessario, a riproporlo con estrema fedeltà linguistica. Ma anche a declinarlo, secondo una componente e una temperie stilistica e di sensibilità nuova che apre già al Settecento. Quindi dall’empito e dal dinamismo barocco tipico di Gian Lorenzo, riesce a sfumare verso toni più elegiaci, più aggraziati, secondo una componente che è già tutta del Settecento. Che è il secolo della sensibilità, della grazia con cui passa un nuovo vincolo di religiosità: non più la grande religiosità barocca berniniana che squassa l’animo, ma un sentimento più commovente, più intimo. E Antonio Raggi ha un’estrema importanza e rilevanza proprio nel riuscire a far compiere questo passaggio da un secolo a un altro. Pur essendo morto nel 1686, riesce a porsi come modello per le generazioni future”. 

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