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Franco Debenedetti: la mia fuga “in Isvizzera” per sfuggire alle persecuzioni nazifasciste

uomo con un libro in mano
Franco Debenedetti con la sua ultima opera. Michele Novaga

Nel libro Due lingue, due vite: i miei anni svizzeri 1943-1945 il manager ed ex senatore della Repubblica italiana racconta il diario della fuga in Svizzera per sfuggire ai nazifascisti. Ma anche i tempi trascorsi da rifugiato con la famiglia a Lucerna fino alla fine della guerra e lo studio di una nuova lingua: il tedesco.

Nel novembre del 1943, la famiglia Debenedetti, di origini ebree, decise di darsi alla fuga data la situazione insostenibile in Italia creatasi soprattutto dopo l’8 settembre. Troppo pericoloso restare e non solo perché i bombardamenti avevano distrutto la loro casa e la fabbrica di famiglia. E così la Svizzera diventò il luogo scelto per la fuga: lì i Debenedetti potevano contare sull’aiuto di una famiglia di imprenditori di Lucerna con cui erano in affari.Mia madre mi informò del piano di passare in Svizzera facendomi giurare che non lo avrei detto a nessuno tantomeno a mio fratello”, spiega a tvsvizzera.it Franco Debenedetti.

Il suo racconto è chiaro e dettagliato come la calligrafia con la quale scrisse quel diario di esule. Un prezioso documento di quella fuga verso la salvezza e dei tempi passati al sicuro da nazisti e fascisti che scrisse in quel periodo della sua vita dal 1943 al 1945 quando la famiglia fu costretta a rifugiarsi in Svizzera e lui era solo un ragazzino. “Mia madre diede a me e a mio fratello Carlo, più piccolo di me di due anni, dei quaderni con l’idea di farci scrivere tutti i giorni quello che stavamo vivendo sotto forma di diario” racconta “Grazie al diario ho fissato i miei ricordi di quel tempo”.

Nato il 7 gennaio del 1933 a Torino. Nel 1956 si laurea in Ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Torino e l’anno seguente si specializza in Ingegneria nucleare.

Dal 1959 lavora nell’azienda di famiglia, Compagnia italiani tubi metalli flessibili, poi Gilardini. Dal 1976 al 1978 è direttore del Settore componenti Fiat. Dal 1978 al 1992 è amministratore delegato dell’Olivetti. In quegli anni fonda Tecnost e Teknecomp e crea il gruppo servizi informatici OiS. Dal 1986 al 1994 è anche presidente e amministratore delegato Sasib del gruppo Cir. Nel 2000 fonda l’Interaction Design Institute Ivrea di cui è presidente fino al 2004.

Senatore per tre legislature (XII, XIII e XIV), è primo firmatario di numerosi disegni di legge: quello sulle fondazioni bancarie riceve il premio Ezio Tarantelli per la migliore idea dell’anno 1995 in Economia e finanza.

Amministratore di diverse società, dal gennaio 2013 è presidente dell’Istituto Bruno Leoni. È autore di: Ritagli (1996), Sappia la destra (2001), Non basta dire no (2002), Grazie Silvio (2005), Quarantacinque percento (2007), La guerra dei trent’anni (con A. Pilati, 2009), Il peccato del professor Monti (2013), Popolari addio? (con G. Fabi, 2015), Fare profitti (2021). Ha curato e introdotto numerosi libri.

L’idea della pubblicazione del diario

Il manoscritto originale del diario di Franco Debenedetti, infatti, è un volume molto corposo arricchito dai ritagli dei giornali dell’epoca che raccontano dell’evoluzione della guerra su tutti i fronti, da cartine, cartoline, lettere che arrivavano dai parenti rimasti in Italia, disegni.

“L’idea di pubblicarlo nasce in occasione della “Giornata della memoria” del 2023 – spiega – allorquando l’insegnante di mio nipote mi chiese di raccontare i miei ricordi. Io feci delle fotocopie in A4 a fascicolo e ne feci stampare una ventina di copie. Poi, dopo che l’anno scorso mio fratello Carlo fece stampare da Treccani il suo diario di quell’epoca in copia anastatica, chiamai il mio amico editore Luca De Michelis della Marsilio dicendogli che anch’io volevo pubblicare il mio diario. Lui sposò l’idea suggerendomi però di farne un vero libro strutturato in capitoli che introducono al contenuto del diario”. 

L’ingresso in Svizzera

Nelle prime pagine è raccontato nel dettaglio l’ingresso clandestino nella Confederazione illustrato da un disegno che ritrae una casetta e una recinzione con un buco dal quale la famiglia Debenedetti passò per entrare in Svizzera.

“C’era uno stretto buco in una rete. Io passai per primo, poi papà, poi Carlo e infine la mamma. Ma senza badare all’uomo che teneva la rete che diceva: ‘Calma, adagio non c’è fretta!’ Due passi su un fradicio ponticello in legno ed…eccoci in Isvizzera!. Era il giorno 9 novembre 1943, ore 17.25”.

Pagina di un diario
Michele Novaga

Il primo mese a Lugano e l’”altra vita” a Lucerna

Poi da lì la famiglia fu condotta a Bellinzona per le visite mediche e l’interrogatorio. Il racconto insiste sul dormitorio dove passarono la notte in attesa di essere trasferiti all’hotel Richard e poi all’Hotel de la Paix di Lugano. Un passaggio reso possibile da un foglio in cui un impiegato di banca registrò i valori che la famiglia portò dall’Italia che vennero depositati a Bellinzona. “Così ebbe inizio la nostra quarantena che durò dal 3 novembre al 10 dicembre durante la quale potevamo uscire solo scortati in attesa di poter andare a Lucerna dai nostri amici Meyer Keller”, racconta ancora Franco Debenedetti. L’11 dicembre del 1943 l’arrivo a Lucerna nella pensione Ruttimann che divenne il loro domicilio per un anno e mezzo.

pagina di un diario
L’elenco dei valori della famiglia Debenedetti. Michele Novaga

Come per il passaggio in Svizzera attraverso la rete della casa di Chiasso avvenuto grazie all’aiuto del direttore della dogana a cui il papà Debenedetti aveva pagato gli studi, l’arrivo a Lucerna fu reso possibile dalla famiglia di Otto Meyer Keller. “I Meyer Keller erano i proprietari della Metallschuchfabrik Luzern, mio padre era proprietario della Compagnia italiana metalli flessibili e tra loro e con la Metallschuchfabrik Pforzheim dei fratelli Witzenmann, vigevano intrecci, accordi commerciali e ottimi rapporti famigliari”.

L’apprendimento del tedesco in casa e a scuola

Fu proprio Adrienne, la sorella del proprietario della Metallschuchfabrik, colei che insegnò a Franco il tedesco e che si occupò di tutta la famiglia Debenedetti sin dal loro arrivo poco prima di quel Natale del 1943. “Per me era il primo Natale non italiano. Ma anche la prima volta che ammiravo l’albero con tutte quelle luci, le candeline, i fuochi artificiali dato che da noi si faceva solo il presepe. Scoprii anche le canzoni natalizie come Oh Tannenbaum e Stille Nacht, heilige nacht. Da allora anche per noi il Natale è diventato l’albero “svizzero” e il canto Stille Nacht è parte della tradizione”.

Adrienne diviene una figura chiave del soggiorno di Franco a Lucerna. Non solo gli insegna il tedesco ma lo intrattiene, gli fa fare delle gite, cucina per lui e la sua famiglia. “La prima al ginnasio cantonale iniziava un semestre dopo e cioè a Pasqua. In quei tre mesi imparai il tedesco grazia ad Adrienne che nonostante non avesse mai insegnato, inventò un metodo per farmi imparare il tedesco attraverso lo studio di dieci vocaboli al giorno”, racconta Debenedetti che, sul diario, quel 24 aprile del 1944 scriveva: “Ho fatto il mio primo ingresso alla scuola cantonale. Questa data segna un grande cambiamento nella mia vita”.

pagina di un diario
Michele Novaga

All’inizio delle lezioni scrive già in tedesco e l’anno successivo, all’indomani della fine della guerra, arriva a scrivere un tema di sette pagine intitolato “In attesa della pace” in cui fa un’analisi del conflitto data la sua passione per la storia e la strategia militare e che il suo professore fa trasmettere al giornale locale dove viene poi pubblicato. “Per me furono decisive le letture di giornali come Neue Zürcher Zeitung e Luzerner Tagblatt che raccontavano come stava andando la guerra dallo sbarco in Sicilia a quello in Normandia, all’ingresso dei sovietici a Auschwitz e pubblicavano le cartine con le strategie militari e i movimenti delle truppe”, aggiunge.

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Dal timore di essere respinti alla frontiera come era successo per esempio a Liliana Segre e a suo padre e anche a due cugini di Franco Debenedetti perché “la barca è piena”, all’asilo temporaneo in Svizzera come internati, la sua vita si arricchisce di un’altra vita.

“La Svizzera era nel mio destino: andando in Svizzera ho acquisito un’altra lingua, un’altra cultura e un’altra vita come scrive Thomas Mann nel Doktor Faust”, dice aggiungendo che “l’accoglienza della Svizzera terra d’asilo è stata importante. A Lucerna sono tornato tante volte e mi sento come a casa”.

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