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Frontiera come opportunità, “ma il Ticino parte svantaggiato”

Veicoli in coda al valico del Gaggiolo (Ticino)
Il traffico e i costi infrastrutturali sopportati dai cantoni di frontiera non sono tenuti in debita considerazione a Berna. keystone

Uno studio pubblicato da Coscienza Svizzera propone un riconoscimento formale dei cantoni di frontiera e collaborazioni più intense per rispondere alla sfida della globalizzazione e della rivoluzione digitale.

La collaborazione transfrontaliera, come dimostrano varie ricerche (Bak di BasileaCollegamento esterno e Politecnico di MilanoCollegamento esterno), costituisce un fattore rilevante di crescita economica per le regioni periferiche ma, come evidenzia il caso del Ticino, gli attuali strumenti di natura giuridica e politica a disposizione sono insufficienti.

Di questo tema tratta lo scritto “Ripensare la governanza transfrontaliera svizzera” di Remigio Ratti, ex parlamentare a Berna ed esperto di politica regionale, che ha illustrato alcune proposte elaborate nell’ambito del gruppo di studio Coscienza svizzera, con un’attenzione particolare alla questione della governance.

Il servizio del Quotidiano (RSI)

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Disparità di risorse tra cantoni di frontiera

Di fronte alle sfide della globalizzazione e della rivoluzione digitale, infatti, non tutti i cantoni sono attrezzati per gestire il fenomeno e apportare i necessari cambiamenti, anche a causa di vincoli che si manifestano a livello federale.

Tra di essi il Ticino, che a differenza di Basilea e Ginevra – che possono contare su poli economici forti – ha una configurazione policentrica che difetta di un motore capace di gestire i cambiamenti, secondo quanto ha evidenziato il politologo Oscar Mazzoleni, che ha curato la prefazione della pubblicazione di Coscienza Svizzera. Una caratteristica che si riproduce anche al di là del confine, con i due poli di Varese e Como che gravitano sulla grande metropoli di Milano.

Frontiere “mobili”

La riflessione parte dalla constatazione che la nozione di frontiera, come la conosciamo da decenni, si è evoluta: “Noi siamo abituati a vedere la frontiera come linea di divisione fissa tra due Stati”, indica Remigio Ratti. In realtà “la letteratura sostiene che le frontiere sono un fenomeno a 360 gradi”, a geometria variabile, e soprattutto “non sono più quelle delineate dalle istituzioni” storiche.

I nuovi confini sono disegnati oggi dai grandi conglomerati economici, come Google o Amazon, o dalla rivoluzione digitale. “In un mondo globalizzato – indica il presidente onorario di Coscienza Svizzera – ci sono nuove realtà che non sono più i poteri istituzionali di uno Stato ma forme di potere economico, digitale o la stessa intelligenza artificiale che, a loro piacimento, intervengono sui Paesi” nel loro esclusivo interesse e utilizzandoli ai loro fini.

E questo ha come conseguenza che “cambia la natura degli effetti di frontiera”. O meglio, osserva sempre l’ex parlamentare federale, “vediamo gli effetti di questo fenomeno ma non ci sono così ben chiare le cause”, come quando “la luce viene deviata da un prisma”.

“Siamo in presenza di effetti-frontiera dalle molte sfaccettature e ibridazioni determinate per ogni area da scenari specifici, ma in particolare dalle risposte agli effetti territoriali – discriminanti e strutturanti – degli assemblaggi di potere istituzionale e dell’economia. La governanza della ‘frontiera prisma’ implica una strategia multilivello (o multiscala) e specifiche misure aventi l’obiettivo di valorizzare e costruire una territorialità in termini di capitale territoriale, sociale, economico, ambientale e identitario” (Bramanti A., Ratti R., 2017).

Portata relativa della nuova tassazione dei frontalieri

Un esempio di tutto questo? Con la nuova tassazione dei frontalieri, rileva Remigio Ratti, si è detto che non ci sarà più dumping salariale e altre conseguenze negative sul mercato del lavoro.

Poi però, guardando agli effetti, ci si accorge che, come afferma l’imprenditoria locale, a livello di bassi salari non è cambiato niente: la manodopera a basso costo continua ad esserci mentre gli impieghi pregiati, ad alto valore aggiunto, iniziano a scarseggiare in Ticino, a tutto vantaggio di piazze economiche forti e concorrenziali, come quella di Zurigo.

La recente vicenda di Zalando, il colosso dell’e-commerce che ha trasferito la propria base logistica elvetica da Soletta a Sant’Antonino, nella Svizzera italiana, per un problema di costi (vista la vicinanza con la manodopera italiana), sembra confermare questa evoluzione che, in definitiva, non premia il modello economico ticinese costituito in buona parte da produzioni scarsamente innovative e a basso valore aggiunto.

Come invertire questa tendenza che penalizza una regione periferica come il Ticino, minacciata e stretta tra i poli di Zurigo e Milano? Innanzitutto, rileva Remigio Ratti, le risposte non possono più essere puntuali, come avviene tuttora, ma “devono coinvolgere i diversi livelli”: il livello locale, cantonale, federale ed europeo “perché oggi le grandi sfide sono anche quelle continentali”.

La mancata collaborazione pesa sul PIL

Recenti rapporti del Bak di Basilea e del Politecnico di Milano, precisa Oscar Mazzoleni, dimostrano che la scarsa collaborazione transfrontaliera nell’area insubrica comporta una perdita in termini di Prodotto interno lordo, stimata tra il 7% e il 10% per il caso ticinese.

Inoltre, l’assenza di cooperazione in queste aree periferiche incrementa le disparità economiche e sociali e non consente di affrontare le conseguenze negative del cambiamento climatico, che impongono necessariamente risposte coordinate. Se da un lato questo deriva dalla mancanza di baricentro economico e decisionale, dall’altro emerge chiaramente, nel caso ticinese, una carente volontà politica nell’incentivare la cooperazione ai due lati del confine.

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Centro storico di Como.

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Berna poco attenta

Ma anche l’assetto federale della Confederazione non è esente da responsabilità in questa situazione penalizzante. Berna infatti riduce la questione delle zone di confine all’interno della “nuova politica regionale”, uno strumento che è però al contempo inadeguato e insufficiente.

In Italia, osserva Remigio Ratti, grazie ai fondi UE, queste regioni hanno un bilancio dieci volte superiore e inoltre in Svizzera le norme sono applicate in senso restrittivo: i finanziamenti sono concessi solo a progetti innovativi e di elevato valore aggiunto.

Inoltre, continua, anche nell’ambito dei programmi transfrontalieri Interreg, Berna resta il principale attore nei confronti dell’UE, mentre lo stesso “BAK, nel rapporto 2021, scrive che occorre coordinare le politiche dal basso all’alto”.

Per invertire la rotta e consentire ai territori di intervenire sugli effetti negativi delle aree di frontiera (traffico, pressioni sul mercato del lavoro) è indispensabile ripensare la strategia e la governance, incentivando la collaborazione tra i diversi livelli istituzionali e politici. Per Oscar Mazzoleni si dovrebbe innanzitutto riconoscere a livello legislativo le peculiarità dei cantoni di frontiera, a cui occorrerebbe attribuire un ruolo da protagonisti.

Proposta una conferenza dei cantoni di frontiera

In questo senso il politologo ticinese auspica la creazione di una Conferenza dei cantoni di frontiera, sul modello degli analoghi organi esistenti in materia finanziaria, sanitaria e scolastica, che si pongano come sintesi delle loro istanze nei confronti della Confederazione. Il riconoscimento istituzionale dovrebbe poi avere un impatto anche nell’ambito delle questioni finanziarie.

“Vanno soppesati i costi degli effetti della frontiera – sottolinea Oscar Mazzoleni – nella definizione dei parametri della perequazione finanziaria intercantonale (il meccanismo di redistribuzione a livello federale con cui i cantoni ricchi alimentano il fondo cui attingono quelli con minori risorse finanziarie, ndr) che – soprattutto riguardo ai problemi della mobilità, della manodopera transfrontaliera e delle spese infrastrutturali – vengono sistematicamente minimizzati”.

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La perequazione finanziaria intercantonale, sostiene il politologo, può essere uno strumento attraverso cui “si può ridare risorse ma anche riconoscibilità alla questione transfrontaliera” e al fatto che il canton Ticino “vive degli effetti frontiera che non sono necessariamente negativi ma che sono in parte costi che dovrebbero essere parte integrante” delle compensazioni tra i cantoni.  

E in merito ai programmi Interreg, “che sono decisi a Berna”, occorre che questi “siano armonizzati con gli obiettivi di politica regionale”.  Bisogna insomma “dare al Ticino la capacità di essere il motore della cooperazione transfrontaliera attraverso il suo riconoscimento formale”.

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