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“I mafiosi di Domodossola viaggiavano con targhe vallesane”

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Cosa succederebbe se una società legata alla criminalità organizzata riuscisse a prendere in appalto, ad esempio, i lavori di manutenzione su un asse come quello del Gran San Bernardo, si chiede il giornalista Frank Garbely. Keystone / Laurent Darbellay

Il giornalista Frank Garbely ha indagato sul caso di Fortunato Maesano, un presunto mafioso arrestato a Briga nel 2006. Una vicenda che mette in luce la presenza della criminalità organizzata italiana in Vallese. 

Lo scorso agosto, la mafia ha fatto nuovamente parlare di sé in Vallese. Nell’ambito di una vasta operazione internazionale, la polizia federale (Fedpol) ha perquisito l’abitazione di un italiano residente a Saxon e attivo in una quarantina di società, la maggior parte delle quali con sede a Martigny. 

I legami tra la criminalità organizzata e il Vallese sono comprovati da tempo. Il giornalista vallesano Frank Garbely ha indagato recentemente su un caso che aveva avuto una grande eco nell’Alto Vallese. Quello di Fortunato Maesano, soprannominato “il boss della mafia di Briga”.  

In un e-book, Garbely ha ripercorso la storia di questo stuccatore-pittore, arrestato a Briga nel 2006 e accusato dalle autorità italiane di essere un capomafia. Condannato a 11 anni di prigione, Maesano ha sempre sostenuto la sua innocenza. Oggi in libertà, l’uomo è tuttora interdetto di soggiorno in Svizzera, nonostante i suoi legami familiari a Briga. 

Un caso, quello di Maesano, che mette in luce le difficoltà delle autorità elvetiche e vallesane nel lottare contro la presenza mafiosa. 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dal giornale vallesano Le Nouvelliste.Collegamento esterno

Cosa l’ha spinta a interessarsi alla storia di Fortunato Maesano? 

Frank Garbely: All’inizio, è stata una frustrazione da giornalista. I media spesso si concentrano solo sugli aspetti spettacolari di un caso. Per una volta, ho voluto raccogliere la sfida di affrontare una storia tenendo conto di tutte le sue ramificazioni. 

L’arresto di Fortunato Maesano è legato alla faida di Roghudi, una vera e propria guerra tra due clan della ‘Ndrangheta, la mafia calabrese, che ha causato decine di morti negli anni Novanta. Maesano era stato accusato di aver commissionato degli omicidi, ma alla fine è stato condannato a 11 anni di carcere per traffico d’armi e ricettazione. 

E cosa ha scoperto nella sua inchiesta? Questo imbianchino era davvero un pesce grosso? 

No, per niente. Non era un boss mafioso. Per dare un’idea, ha imparato a leggere e scrivere correttamente in prigione in Italia. E se fosse stato un vero mafioso, avrebbe probabilmente chiesto il passaporto svizzero per evitare l’espulsione. Due eminenti specialisti di diritto penale hanno studiato l’intero fascicolo e hanno constatato che non c’era la minima prova materiale contro di lui. L’accusa era basata solo su intercettazioni telefoniche. 

La seconda parte del suo libro riguarda la presenza e l’espansione della mafia… Come è arrivata fino in Vallese? 

La ‘Ndrangheta si è gradualmente estesa verso nord, mentre si trasformava da società segreta quasi medievale a una holding criminale. Ho ripercorso il suo arrivo a Domodossola negli anni Sessanta e Settanta. Era al tempo della costruzione dell’autostrada e dello sviluppo del turismo intorno al Lago Maggiore. La mafia ha iniziato a prendere il controllo dell’economia locale, fino a infiltrarsi nei partiti, come quello socialista. 

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E il Vallese in tutto questo? 

Da Domodossola al Vallese, la distanza non è grande. Ciò che colpisce è che, a partire dal 1999, ogni caso di mafia scoppiato nel cantone sembrava essere legato a persone stabilite nell’Alto Vallese. Ogni volta, gli investigatori hanno scoperto connessioni tra i mafiosi di Domodossola e queste famiglie stabilite a Naters o Briga… È attraverso questi legami che l’organizzazione criminaleè stata in grado di espandersi. Un’altra stranezza: quasi due terzi dei mafiosi di Domodossola viaggiavano in auto con targhe vallesane.

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Il giornalista Frank Garbely si interessa da anni alla presenza della criminalità organizzata nel suo cantone d’origine. Roman Deckart/wikipedia

Cosa li attira in Vallese? 

I soldi. Si stima che la ‘Ndrangheta, ad esempio, generi un fatturato di 50 miliardi all’anno. Questo denaro deve essere riciclato e la Confederazione si presta particolarmente bene. Le grandi somme possono essere integrate nell’economia legale in modo discreto. 

E quali sono le attività migliori per rimanere discreti? 

La mafia è ovviamente coinvolta nel traffico di droga, di armi e di tutto ciò che rende. Ma la sua attività principale è infiltrarsi nell’economia legale. Con così tanti soldi, possono insediarsi in interi settori e, a poco a poco, dominare il mercato. Sottovalutiamo anche il fatto che assume esperti – avvocati, commercialisti, banchieri – per gestire i suoi fondi, perché il suo vero obiettivo è quello di avere accesso diretto alle casse dello Stato. 

Ad esempio? 

Prendete la manutenzione delle strade. Lo Stato distribuisce molti soldi per mantenere una strada come quella del Gran San Bernardo. Se una società riesce a prendere il controllo di questo settore, può assicurarsi contratti per decenni. Una volta che ha il monopolio, può manipolare prezzi e fatture. 

Siamo molto lontani dall’immagine del gangster armato che trasporta borse piene di droga e banconote… 

Questa immagine trasmessa dal cinema ci fa dimenticare che la maggior parte dei mafiosi sono uomini d’affari discreti, colti ed eleganti. La violenza e le faide esistono ancora in alcuni luoghi, ma la maggior parte di questi uomini non hanno nulla a che vedere con questi cliché. Molti figli di questi mafiosi, ad esempio, frequentano le migliori università. 

Persone discrete che si infiltrano nell’economia legale… Deve essere difficile combattere questo fenomeno, giusto? 

Le nostre autorità a volte sembrano ingenue. Abbiamo messo un sacco di risorse per sorvegliare Fortunato Maesano. Parallelamente a questo caso, alcuni mafiosi calabresi hanno vissuto tranquillamente nella valle di Saas, a Visp o a Ried-Briga. Sono le autorità italiane che, grazie a Facebook e ai social network, hanno trovato le loro tracce in Vallese.  

La cooperazione con le autorità italiane funziona bene? 

Di tanto in tanto scoppia un caso e si sente dire che la cooperazione funziona bene, ma in realtà non è così. I procuratori italiani sono spesso scontenti della Svizzera. Hanno l’impressione che le informazioni che loro condividono con le autorità elvetiche finiscono nelle mani dei mafiosi, perché i loro legali sono informati di tutta una serie di elementi durante un’indagine. 

Sembra che siano intoccabili… È davvero così? 

Ho l’impressione che in Svizzera si possano creare strutture mafiose senza troppi problemi. Finché quello che si fa è legale, nessuno porrà domande. È un po’ il messaggio del mio libro. Improvvisamente, si crea un putiferio intorno a caso come quello di Fortunato Maesano, ma ci sono molte altre storie parallele di cui nessuno parla. È fondamentale che le nostre autorità si interessino più alla ‘Ndrangheta, perché se riesce a diventare influente controllando interi settori dell’economia, potrà operare come in Italia. E oggi, le armi più temibili della ‘Ndrangheta non sono più il fucile e la dinamite, ma i suoi avvocati, consulenti e banchieri. 

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