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I mini-robot italo-svizzeri che, forse, rivoluzioneranno la medicina

piccolo oggetto su un dito
La sfida è ora di ridurre notevolmente le dimensioni di questo mini-robot. Mario Messina

Un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Bolzano e del Politecnico Federale di Zurigo ha sviluppato dei mini-robot flessibili e biodegradabili che consentiranno interventi chirurgici mirati senza bisturi e con impatti minimi sulla salute del paziente.

Operare pazienti senza bisturi ma con l’ausilio di mini robot morbidi che entrano nel corpo umano, agiscono su un organo specifico e poi si biodegradano. Sembra fantascienza, invece è ciò su cui sta lavorando un team di ricerca italo-svizzero.

I mini-robot che potrebbero rivoluzionare la medicina si chiamano “flexibots”. Si tratta di un progetto promosso dal Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica e dalla Provincia autonoma di Bolzano, che ha unito l’esperienza del Laboratorio di Elettronica FlessibileCollegamento esterno della Facoltà di Ingegneria della Libera Università di Bolzano nella progettazione e nella realizzazione di elettronica impercettibile, con il know-how del gruppo di robotica multiscala dell’ETHZ, il Politecnico Federale di Zurigo esperto in miniaturizzazione di robot in grado di navigare in micro-ambienti complessi.

I mini-robot chirurghi

“La storia di questi dispositivi inizia qualche anno fa, nel 2021. Non con noi, ma con i nostri colleghi in Svizzera”, racconta a tvsvizzera.it il professor Niko Münzenrieder della Libera Università di Bolzano. “Il progetto è stato sviluppato dal team del Politecnico Federale di Zurigo guidato dal professor Bradley Nelson che lavora su questi robot miniaturizzati da molto tempo. Noi abbiamo dato il nostro contributo nel campo dell’elettronica flessibile, in cui ci concentriamo su dispositivi elettronici e circuiti realizzati su substrati non convenzionali, come pellicole di plastica o superfici irregolari, anziché su silicio o vetro”.

>> Il video dell’Università di Bolzano sulle potenzialità dei “flexibots”:

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Ciò che rende questi mini-robot potenzialmente straordinari nell’ambito della medicina di precisione sono alcune caratteristiche: morbidezza, flessibilità, biocompatibilità e capacità di rispondere a stimoli ambientali, elaborare informazioni e comunicare in modalità wireless.

Si tratta di robot in grado di muoversi in liquidi come il sangue; ciò permetterà, una volta perfezionati, di introdurli nel corpo umano con una semplice iniezione, farli arrivare presso l’organo specifico da trattare e svolgere azioni straordinarie come mini-interventi chirurgici, biopsie o la somministrazione di farmaci in modo preciso e in dosi minime, il che permetterebbe una rivoluzione enorme nell’ambito della cura dei pazienti oncologici.

Inoltre, essendo biodegradabili, dopo aver svolto la loro funzione i robot in miniatura si dissolveranno automaticamente e senza conseguenze nei liquidi umani.

Da mini a micro

Ma attenzione a pensare che questi straordinari robot siano pronti ad entrare sul mercato. “Attualmente, abbiamo un prototipo che dimostra come il robot possa rispondere a stimoli, interagire con l’ambiente e raccogliere dati. Tuttavia, non abbiamo ancora effettuato test sui pazienti umani poiché il robot è ancora troppo grande per essere iniettato nel flusso sanguigno”, ha spiegato il professor Münzenrieder. Insomma, perché i robot-chirurghi possano entrare nelle sale operatorie e coadiuvare il lavoro dei medici in carne ed ossa è necessario che da mini diventino micro.

I componenti elettronici tradizionali disponibili sul mercato sono troppo voluminosi per questi dispositivi. Per questo motivo, il team della Libera Università di Bolzano ha integrato direttamente sui robot componenti elettronici a film sottile, che, con uno spessore di soli nanometri, sono estremamente leggeri e perfettamente adattabili alle loro forme uniche. Al momento, però, nonostante risultati straordinari, la dimensione dei dispositivi resta ancora troppo grande. “Le loro dimensioni non sono ancora abbastanza piccole per evitare di bloccare i vasi sanguigni, il che rappresenterebbe un rischio potenzialmente catastrofico”, ha spiegato il docente dell’ateneo altoatesino.

L’importanza della cooperazione internazionale nella ricerca scientifica

Le dimensioni di questi robot, dunque, rappresentano al momento la più grande sfida per l’inizio dei test sugli esseri umani. E dunque è necessario continuare con la ricerca che ha visto protagonisti i ricercatori svizzeri e quelli italiani. Ma se iI team del professor Münzenrieder dell’Università di Bolzano e del professor Bradley Nelson del Politecnico Federale di Zurigo ci hanno messo la conoscenza, i fondi per questa ricerca innovativa sono arrivati dalla provincia autonoma di Bolzano per la parte italiana e dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) per la parte elvetica.

>> Se volete saperne di più sulla collaborazione scientifica tra Italia e Svizzera:

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I successi della diplomazia scientifica italo-elvetica

Questo contenuto è stato pubblicato al La collaborazione scientifica tra Svizzera e Italia è intensa, di eccellente qualità e sfocia spesso in progetti di rilevanza internazionale.

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L’FNS è l’ente principale in Svizzera che finanzia la ricerca accademica e scientifica. Fondato con l’obiettivo di promuovere l’innovazione e lo sviluppo scientifico, sostiene progetti di ricerca di alta qualità in tutti i settori ed eroga finanziamenti a ricercatori e ricercatrici oltre che alle istituzioni di ricerca svizzere, favorendo la collaborazione tra università, centri di ricerca e imprese.

È stato dunque l’FNS a permettere, con un cospicuo finanziamento, la prosecuzione del progetto. Un semaforo verde che è arrivato anche grazie all’insieme di competenze multidisciplinari offerte da un tema internazionale.

Un processo che parte in Svizzera con la ricerca sui mini-robot, poi passa a Bolzano per la progettazione delle componenti elettroniche sintetizzate nel laboratorio di elettronica flessibile della facoltà di Ingegneria della liberà Università di Bolzano presso il Noi Techpark, e successivamente installate su micro robot semi-assemblati.

Un processo che vede anche il contributo del dottor Giuseppe Cantarella dell’Università di Modena e Reggio Emilia che ha cominciato a lavorare al progetto nelle sue fasi iniziali quando operava presso l’università altoatesina e che ha continuato a farne parte dopo il suo trasferimento in Emilia Romagna.

Insomma, un esempio concreto di cooperazione internazionale nel campo delle scienze mediche. “La cooperazione internazionale è stata essenziale”, ha spiegato il professor Münzenrieder. “La sinergia tra esperti di diverse discipline e provenienti da vari paesi consente di ottenere risultati molto più efficaci rispetto a quanto sarebbe possibile fare singolarmente. Questo progetto, ad esempio, non sarebbe stato realizzabile in Italia, poiché il gruppo di Zurigo è un leader mondiale nella ricerca sui micro-robot. Allo stesso tempo, senza la nostra collaborazione non sarebbe stato possibile portare avanti questo progetto”, ha concluso.

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