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I tesori ‘svizzeri’ dell’antica Cales tornano a Santa Maria Capua Vetere

monete antiche
Le monete antiche rappresentano un mercato interessante e per alcune di esse i collezionisti non esitano a sborsare decine di migliaia di franchi. Nell'immagine una moneta in bronzo risalente all'epoca dell'imperatore romano Massimino Trace del terzo secolo d.C., scoperta (legalmente) in Ticino nel 2014. Keystone / Ti-Press / Gabriele Putzu

Oltre 2'500 reperti archeologici, tra monete, vasi e piccole sculture antiche, trafugati in Italia e poi in parte venduti illegalmente nella Confederazione sono stati riconsegnati alle autorità della Penisola e sono ora esposti nel Museo dell’antica Capua.

Da venerdì scorso, i tesori della regione di Capua sono tornati là dove avrebbero sempre dovuto essere, nel Museo archeologico nazionale di Santa Maria Capua Vetere.
 
I preziosi reperti, risalenti al periodo tra il III secolo a.C. e l’VIII secolo d.C. e presentati nell’ambito della mostra intitolata La memoria restituita. Mostra dei reperti sequestrati, provengono in parte anche dalla Svizzera. Molti degli oggetti esposti stavano infatti per essere venduti da una casa d’aste di Zurigo.
 
Composto soprattutto da vasellame, piccole sculture e migliaia di monete, il tesoro archeologico proviene “da scavi clandestini effettuati nel territorio della provincia di Caserta, nonché in parte anche in quelle di Benevento e Salerno”, precisa il Museo in un comunicatoCollegamento esterno.

locandina di una mostra
La locandina della mostra. Museo archeologico nazionale

La pista svizzera

L’indagine – denominata Antica Cales, dal nome della città che si trova sulla Via Latina pochi chilometri a nord dell’attuale Capua – era stata avviata nel 2022. L’inchiesta si è sviluppata in diversi filoni. In Italia, le autorità sono riuscite a sequestrare “migliaia di reperti archeologici” che avrebbero generato un giro d’affari pari a circa tre milioni di euro”, stando a quanto indicato dalla Procura della Repubblica nel luglio del 2023Collegamento esterno.
 
Molte tracce hanno portato anche in Svizzera. Una persona è infatti stata tratta in arresto mentre tentava di entrare nella Confederazione “in possesso di un ingente quantitativo di monete archeologiche destinato ad essere immesso sul mercato tramite canali di ricettazione estera avvalendosi, in qualche caso, di una nota casa d’asta”.
 
Sulla base di una rogatoria internazionale e grazie al sostegno dell’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione giudiziaria penale (EurojustCollegamento esterno) e della Procura cantonale di Zurigo, le forze dell’ordine hanno effettuato una perquisizione in una casa d’aste di Zurigo. È stato così rinvenuto un quantitativo “rilevante” di monete, nonché di “pregiato vasellame archeologico, beni culturali ritenuti dagli esperti della Soprintendenza autentici e di assoluto pregio e rarità”, sottolinea il Museo di Santa Maria Capua Vetere.
 
Gli oggetti ritrovati a Zurigo sono stati in seguito consegnati alle autorità italiane.

Complessivamente, le indagini hanno portato all’incriminazione di 43 persone, quattro delle quali sono state poste in custodia cautelare.

Un lucrativo mercato per la criminalità organizzata

Il traffico di beni culturali è un fiorente mercato per la criminalità, tanto che è stato coniato il termine archeomafie. Si stima addirittura che sia il terzo mercato più redditizio del crimine organizzato, dopo droga e frodi internazionali.
 
In Europa, la Svizzera funge spesso da piattaforma per le operazioni di compravendita di beni di provenienza sospetta. Secondo Gabriel Zuchtriegel, direttore dei siti archeologici di Pompei intervistato in questo articoloCollegamento esterno dalla Neue Zürcher Zeitung, nella Confederazione si trovano collezionisti solventi e rivenditori esperti, nonché un giusto grado di discrezione e una rete globale.
 
Dal 2003, una legge federale vieta l’importazione e l’esportazione illegale di beni culturali, in adempienza alla relativa Convenzione dell’UNESCO del 1970. Tuttavia, malgrado gli sforzi profusi in questi anni dalle autorità svizzere, sussistono ancora delle lacune, come rilevato in questo nostro approfondimento da Andrea Raschèr, il giurista all’origine della norma del 2003.

Altri sviluppi

Ad esempio, osserva Raschèr, si dovrebbero aumentare le ispezioni, in particolare nei porti franchi, soprattutto in quello di Ginevra: “In questi porti franchi – che io chiamo ‘la Caverna di Ali Babà’ – ci sono ancora oggi solo controlli a campione. Non basta, se si vuole davvero contrastare il traffico delle opere d’arte”.
 
Un altro problema – sottolinea il giurista – “è che il commercio dei beni culturali non è regolamentato dalle regole sul riciclaggio. Significa che il mercante d’arte non è considerato un intermediario finanziario, e può sempre scaricare la responsabilità sulla banca”.

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