L’anima svizzera dei cappelli di paglia di Firenze
Il cappello di paglia di Firenze, prodotto a Signa, ha dominato il mondo della moda per secoli. Quest’industria attirò numerosi imprenditori svizzeri che instaurarono legami duraturi con il territorio fiorentino.
“Nel mondo è famoso come il cappello di paglia di Firenze ma la verità è che dovremmo chiamarlo cappello di paglia di Signa”. Angelita Benelli è la presidente dell’Associazione Museo della paglia e dell’intreccio di Signa, paesino di 20’000 anime a pochi chilometri dal capoluogo toscano che intorno all’inizio del Settecento divenne la capitale mondiale del cappello di paglia. Tanto da attirare l’attenzione di numerose famiglie di imprenditori svizzeri.
Le trecciaiole di Signa
Ciò che rese Signa il centro mondiale della produzione dei cappelli di paglia fu il connubio tra due elementi. Il primo, la capacità delle trecciaiole locali. Donne che nel corso degli anni si erano specializzate nell’arte dell’intreccio della paglia per la creazione di cappelli che poi avrebbero indossato nelle campagne dove lavoravano come contadine.
Il secondo elemento fu l’arrivo, da quelle parti, di un tale Domenico Sebastiano Michelacci. “Una volta arrivato Michelacci nota subito i cappelli di paglia indossati dalle contadine. Decide quindi di fare una cosa rivoluzionaria per l’epoca. Una cosa per la quale venne anche deriso ma che poi si rivelò assolutamente geniale: coltivare il grano, non per scopi alimentari ma solo per ricavarne la paglia, materia prima per i cappelli. Dopo diversi tentativi, trova nel grano marzuolo la varietà ideale, che semina fitta per ottenere piante sottili e flessibili. Raccoglie le piantine ancora verdi, le lascia al sole per tre giorni, permettendo alla rugiada mattutina e al sole di dare alla paglia elasticità e un bel colore giallo”, spiega la presidente Benelli.
Grazie alla bravura delle trecciaiole locali e alla nuova, raffinatissima paglia, Domenico Michelacci riesce ad avviare la produzione di cappelli ricercatissimi che troveranno presto un mercato internazionale.
“Grazie alla navigabilità dell’Arno che permette di trasportarli fino al porto di Livorno, i cappelli vengono esportati all’estero. Tanto che in Inghilterra il cappello di paglia è conosciuto ancora come cappello “Leghorn,” dal nome del porto di partenza”, spiega ancora Benelli.
L’interesse del mondo imprenditoriale svizzero
Nel 1735, Domenico Michelacci riuscì a fondare il primo opificio a Signa, seguito poi da altri produttori locali. Entro la fine dell’Ottocento sorsero diverse fabbriche e il cappello di Signa divenne egemone nel mondo. “Grazie all’alta qualità della paglia di Signa, rinomata per il colore e la finezza degli steli, anche produttori di altri paesi, come la Svizzera, iniziarono a commerciare con Firenze per rispondere alla domanda di paglia di pregio”, spiega Oliva Rucellai, storica dell’arte e autrice del volume “La paglia, intrecci svizzeri a Firenze” (Edizioni Polistampa).
“In questo modo gli svizzeri stabilirono legami commerciali con la zona e, nella prima metà dell’Ottocento arrivarono le prime famiglie elvetiche che qui si stabilirono stabilmente tanto che ancora oggi in zona ci sono i loro discendenti”, spiega Rucellai.
La storia della presenza svizzera nell’industria dei cappelli di paglia di Signa è emersa da una ricerca condotta oltre vent’anni fa dalla dottoressa Rucellai per conto del Circolo Svizzero di Firenze. “Mi fu chiesto di documentare i rapporti tra i produttori svizzeri e le famiglie locali. Ho raccolto informazioni attraverso interviste, fotografie, documenti d’archivio del Circolo Svizzero e della Camera di Commercio di Firenze, e materiale bibliografico. La ricerca tra le altre cose permise di mappare le famiglie svizzere attive nell’industria della paglia fiorentina dell’epoca”, spiega la dottoressa.
La fine di un’epoca
Per capire quanto fosse importante all’epoca la produzione dei cappelli di paglia basti pensare che esisteva un detto: finché gli uomini avranno una testa ci sarà bisogno di cappelli. Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente.
“Il cappello, soprattutto quello di paglia, era fondamentale cent’anni fa: non si usciva di casa senza di esso. Non serviva solo a ripararsi dal sole, ma era parte integrante dell’abbigliamento, proprio come l’abito. Tuttavia, le cose sono cambiate con il tempo; il cappello, essendo legato alla moda, ha attraversato sia periodi di grande successo sia fasi di crisi. Negli anni Cinquanta, con l’arrivo delle acconciature cotonate e l’uso della lacca, molte donne hanno smesso di indossarlo, mentre in passato una signora non sarebbe mai uscita senza”, spiega la presidente Benelli.
Con la crisi del settore terminò anche l’epopea della presenza svizzera a Signa e dintorni.
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