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Pallium, un progetto d’eccellenza per le cure palliative tra Svizzera e Italia

persona abbraccia un'anziana
Nelle cure palliative non vi è solo l'aspetto medico. Il sostegno psicologico al paziente e ai suoi familiari riveste un'importanza fondamentale. Palliaviva / Keystone / Gaetan Bally

Il progetto Pallium, realizzato dalla provincia del Verbano-Cusio-Ossola e dal Canton Vallese, è stato selezionato per un premio europeo che distingue i migliori programmi Interreg.

Nelle aree di confine tra il canton Vallese e la provincia piemontese del Verbano-Cusio-Ossola, per ragioni logistiche e culturali, solo il 40% dei potenziali fruitori accede alle cure palliativeCollegamento esterno, cioè agli interventi rivolti a un soggetto “la cui malattia di base è caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta”. Pazienti, in altre parole, la cui malattia non è più curabile.

Rendere le cure palliative più accessibili e diffuse è stato l’obiettivo del progetto PalliumCollegamento esterno, finanziato nell’ambito dell’Interreg Italia-Svizzera Collegamento esterno2014-2020. Le attività sono state svolte principalmente sul territorio italiano, mentre il contributo svizzero ha riguardato soprattutto la condivisione di competenze e di pratiche che nella Confederazione sono da più tempo consolidate. In particolare, è stato offerto supporto psicologico a pazienti e familiari, sono stati formati nuovi operatori e nuovi volontari coinvolti nelle cure palliative e sono stati organizzati eventi finalizzati a diffondere la cultura palliativa nella società.

>> Le testimonianze:

Pallium, le cui attività sono terminate alla fine del 2023, è risultato tra i sei finalisti dell’Interreg Slam 2025Collegamento esterno, il concorso annuale rivolto ai progetti di cooperazione territoriale europea finanziati dai circa cento programmi Interreg esistenti. Il 27 marzo 2025, a Gorizia/Nova Gorica, verrà proclamato il progetto vincitore.

579 nuclei familiari a cui è stato fornito supporto psicologico

80 iscritti al corso per personale sanitario

15 eventi organizzati in Italia per avvicinare il pubblico al tema delle cure palliative

6 spettacoli teatrali

10 death cafè

40 persone coinvolte nel progetto di arte relazionale

Che cosa sono le cure palliative?

Le cure palliative, spiega Luigi Stanco, medico palliativista dell’equipe mobile dell’Ospedale cantonale del Vallese, “consistono nella presa in cura olistica di pazienti che presentano una o più patologie gravi, potenzialmente mortali, con lo scopo di offrire a loro e ai familiari una migliore qualità di vita”.

La peculiarità delle cure palliative è il fatto di coinvolgere una equipe multidisciplinare intorno al paziente: non soltanto il medico palliativista, ma anche infermieri, operatrici socio sanitari, psicologi, fisioterapiste, dietologi, logopediste, ergoterapisti, eventualmente anche personale esperto in arteterapia e musicoterapia, oltre naturalmente ai volontari che, in diversi modi, si occupano di fornire assistenza e aiuto ai pazienti.

“Nelle cure palliative non si cura la malattia, ma si gestiscono i sintomi somministrando i farmaci necessari – aggiunge Angela Filomeno, responsabile della struttura operativa semplice Cure Palliative e Hospice dell’azienda sanitaria locale del Verbano-Cusio-Ossola –. Ogni paziente che viene seguito rimarrà in cura fino all’ultimo istante della vita: il medico palliativista sa, e accetta, che il suo paziente morirà”.

Ma non c’è soltanto l’aspetto medico: “Oltre alla componente fisica – prosegue Stanco – si tiene in considerazione anche il sostegno psicologico, così come la dimensione sociale e quella spirituale, al fine di garantire un approccio olistico e globale alla persona. Conoscere i bisogni, le risorse e i valori del paziente permette di definire insieme il progetto terapeutico e il piano di trattamento più adatti, secondo le sue volontà”.

+ Un primo bilancio dei progetti Interreg Svizzera-Italia 2014-2020

Pazienti e familiari

Le cure palliative, se possibile, vengono erogate a domicilio (o in ambulatorio, in Italia) per gli ovvi benefici dettati dal rimanere dove si è vissuto in salute. In questo caso occorre individuare un caregiver, cioè una persona di riferimento dedicata alla cura del malato in grado di riconoscere eventuali sintomi e farvi fronte. “Può essere un familiare, un amico, un collaboratore domestico, un vicino di casa, purché sia costantemente vicino al paziente” prosegue Filomeno. Il caregiver viene istruito dal medico palliativista, dal medico curante e dall’infermiere affinché sappia che cosa fare e quali farmaci somministrare in caso di necessità.

Se le condizioni cliniche del paziente non lo consentono, si rende necessario il ricovero in strutture specifiche: possono essere ospedaliere (nell’ospedale di Martigny c’è un reparto di cure palliative specializzate con otto stanze singole, a Verbania c’è un hospice con dieci posti letto), oppure case di riposo e residenze per anziani. A Sion, da un paio di anni, esiste anche la Maison Azur, una struttura che può accogliere pazienti che non necessitano di rimanere in ospedale, perché la loro situazione clinica si è stabilizzata, ma non sono ancora pronti a far rientro a casa. “Le cure palliative specializzate, quelle cioè che necessitano dell’intervento di una équipe specializzata in cure palliative, riguardano mediamente il 20% dei pazienti in situazione palliativa – riporta Stanco –. L’80% sono invece cure palliative generali e vengono erogate a domicilio o in case di riposo, nel quadro dell’assistenza di base”.

L’importanza del supporto psicologico

Un aspetto fondamentale nelle cure palliative è l’attenzione posta nei confronti dei familiari dei pazienti: anche loro possono accedere al supporto psicologico. “Con la psicologa, in un certo senso, ho parlato di tutto tranne che del mio dolore – racconta Luisella Sala, che per due mesi è rimasta accanto al marito Alessandro Marchetti ospite dell’hospice San Rocco di Verbania –. Ma la sua presenza era importante: ha fatto sentire amati me e mio marito, e non è facile in certe situazioni. Perfino nel momento del trapasso, io mi sono sentita sorretta. In quel momento mio marito era incosciente, è chiaro, ma credo che anche lui, piano piano, abbia sentito che mentre se ne stava andando c’erano tante persone che gli volevano bene, e questa è la cosa più importante”.

“Perfino nel momento del trapasso mi sono sentita sorretta”

Luisella Sala

Marchetti, morto a 94 anni lo scorso novembre, è stato un artista del teatro, della pittura e della scultura. Per anni ha insegnato all’Accademia Dimitri di Lugano, così nell’hospice dove ha vissuto le ultime settimane della sua vita è stato un via vai continuo di allievi che, da ogni angolo della Svizzera, sono andati a salutarlo. Le ultime notti, la moglie Luisella ha potuto dormire accanto a lui in struttura: “Sono convinta che mio marito si sia accorto che io fossi lì e per me è stato importantissimo: ora non ho nessun rimorso di non esserci stata, perché mi hanno dato tutte le possibilità di esserci”.

Demistificare la morte

“In Italia non siamo più abituati a parlare di morte e lo dimostra il fatto che pur di non nominarla usiamo sinonimi come ‘il venire a mancare’ – fa notare la psicologa Francesca Oliva, che si è occupata di guidare i partecipanti nei death cafè organizzati in Italia sul modello dei café mortel che da vent’anni esistono in Svizzera –. Viviamo in una società che cerca di allontanarla, ma così facendo il risultato è che non siamo in grado di pensare alla nostra morte né di gestire le situazioni di fine vita”. I death cafè, oltre ad avvicinare il pubblico al tema della morte, hanno anche portato nuove persone a unirsi all’associazione Angeli dell’Hospice Vco, un gruppo di volontari che da oltre dieci anni offrono sostegno ai pazienti incurabili e alle loro famiglie.

“Non si muore prima se si pensa alla propria morte” assicura Oliva, che dalla Confederazione vorrebbe importare in Italia anche la cosiddetta formation derniers secours. Si tratta, spiega Stanco, di “brevi corsi, rivolti a chiunque sia interessato a saperne di più sull’ultima fase della vita, seguendo quattro temi principali: morire è una parte della vita, provvedimenti e scelte, alleviare le sofferenze, prendere commiato”. D’altronde, sottolinea Oliva, “per la nascita ci sono un sacco di corsi e sappiamo tutto su come trattare i bambini, ma la morte è altrettanto importante”.

La cura del futuro

Fino a qualche anno fa, le cure palliative riguardavano soprattutto i pazienti oncologici. Oggi non più: “Vi accedono pazienti con patologie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica o la sclerosi multipla, oppure con demenze in fase avanzata, ma anche chi ha malattie nefrologiche, come l’insufficienza renale nel momento in cui non è più possibile fare dialisi” spiega Filomeno. E poi ancora, per fare qualche esempio, “le malattie cardiologiche, quelle infettive come l’Aids in fase molto avanzata, oppure le malattie respiratorie”.

“Talvolta le cure palliative sono ancora attivate tardivamente – osserva Stanco – ma gli studi a livello internazionale mostrano l’importanza di integrarle precocemente al fine di poter migliorare la qualità della vita del paziente”. Le cure palliative, oggi, “possono venire integrate nella traiettoria di vita del paziente fin dal momento in cui riceve una diagnosi di malattia incurabile, tuttavia esistono ancora molte barriere di tipo culturale e sociale per i pazienti e di formazione specifica per i professionisti in ambito sanitario”.

In ogni caso, conclude Filomeno, “le palliative sono le cure del futuro: la popolazione invecchia e le patologie croniche aumentano, perciò il medico palliativista diventerà il bacino di accoglienza di un numero sempre maggiore di pazienti”.

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