Tassa sulla salute, “la Svizzera non ha interesse a creare una base legale”
Per l’ex diplomatico Michele Rossi, Roma ha fatto passi indietro in tema di reciprocità sul mercato dei servizi finanziari e Berna dovrebbe cambiare strategia negoziale. Possibili future discussioni anche sulla controversa tassa sulla salute.
Le cronache di queste settimane hanno riportato un potenziale fronte di attrito tra Roma e Berna e riguarda ancora una volta l’ampia e complessa questione del frontalierato.
La vicenda è in piena evoluzione. Le Regioni, per poter prelevare dal prossimo mese di gennaio il contributo contenuto nella Legge di Bilancio, hanno bisogno la lista dei lavoratori e delle lavoratrici pendolari sottoposti al vecchio regime tributario che prevede la competenza esclusiva della Confederazione nei loro confronti. Sono quindi numerose le voci di coloro che reputano il nuovo prelievo come un’indebita ingerenza delle autorità italiane.
Ma tra i due Paesi continua ad essere irrisolta la questione dell’accesso al mercato italiano da parte degli operatori finanziari elvetici, che Roma è restia a concedere.
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Di queste ed altre questioni che coinvolgono i rapporti bilaterali tra Italia e Svizzera abbiamo discusso con Michele Rossi, ex diplomatico e attuale delegato alle relazioni esterne della Camera di commercio del Cantone Ticino (Cc-Ti), che in passato ha fatto parte della commissione elvetica che ha negoziato gli Accordi bilaterali con l’Unione Europea.
tvsvizzera.it: Quali sono attualmente, se ve ne sono, le principali vertenze nelle relazioni tra Svizzera e Italia?
Michele Rossi: Il principale punto di discussione che abbiamo in questo momento con Roma – che in realtà non è una vera e propria vertenza poiché non stiamo litigando davanti ai tribunali – riguarda sicuramente l’accesso al mercato transfrontaliero dei servizi finanziari che viene negato agli operatori svizzeri: nonostante questo punto fosse contemplato nella roadmap sottoscritta dai due Paesi nel 2015, finora non ci sono stati sviluppi positivi. Anzi, l’Italia addirittura ha fatto dei passi indietro, introducendo l’obbligo di una succursale sul suolo italiano per poter operare, cosa che ha ulteriormente ridotto i margini di manovra dei consulenti.
In realtà questa restrizione penalizza solo le piccole banche, dal momento che quelle più importanti hanno già sedi in Italia.
Non solo le banche medio-piccole ma anche la piazza economica ticinese ed elvetica ne risentono: l’obbligo di succursale si traduce in nuovi posti di lavoro in Italia che rafforzano la piazza finanziaria di Milano a scapito, ad esempio, di quella di Lugano. È una tendenza che dal nostro punto di vista andrebbe evitata: in base al principio comunemente riconosciuto della prestazione di servizi, bisognerebbe consentire a una banca svizzera di poter seguire i propri clienti italiani dalla propria sede nella Confederazione. Soprattutto perché la disponibilità in tal senso era stata segnalata nel testo della citata roadmap firmata anche dall’Italia.
Proprio in queste settimane sta montando la controversia sulla cosiddetta tassa regionale della salute a carico dei vecchi frontalieri, che coinvolge indirettamente anche i rapporti con la Svizzera.
Le autorità italiane in effetti, per poter applicare questa tassa sanitaria, hanno bisogno della lista dei “vecchi” frontalieri, cosa che però a nostro giudizio non è compatibile con l’accordo firmato nel 2020, dal momento che questa categoria di dipendenti non è imponibile dal fisco italiano. Ritengo che Berna non possa dar seguito all’eventuale (e per il momento solo ventilata dall’assessore regionale lombardo Massimo Sertori, ndr) richiesta di Roma perché manca la relativa base legale.
Questo balzello, che in Italia ci si ostina a definire tassa, di fatto è un’imposta che il fisco del Belpaese non è legalmente autorizzato a prelevare. Aggiungo poi al riguardo che non solo manca la base legale per la trasmissione dei dati ma le due parti, firmando quell’accordo sulla fiscalità dei frontalieri, hanno riconosciuto implicitamente che non ci sarà nessuno scambio di informazioni, come si deduce dall’articolo 9Collegamento esterno di quel trattato bilaterale.
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È inoltre evidente che allo stato attuale delle cose né il Ticino, né la Svizzera, a mio modo di vedere, hanno interesse a introdurre una tale base legale di cui beneficerebbe esclusivamente l’Italia.
Vi sono altre controversie che si profilano tra i due Paesi?
Da circa un paio d’anni il fisco italiano ha iniziato a considerare i frontalieri titolari di una società a garanzia limitata in Svizzera (sagl), con la quale hanno stipulato un contratto di lavoro, come lavoratori autonomi e non più dipendenti. La conseguenza è che ora vengono sottoposti a tassazione ordinaria in Italia.
Le autorità svizzere e ticinesi da diverso tempo hanno segnalato questa cosa a quelle italiane, sottolineando il fatto che chi ha un contratto di lavoro con una società, anche se è titolare di questa società, in Svizzera è considerato un dipendente dal profilo fiscale.
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Trattandosi poi di una questione concernente il mercato del lavoro elvetico, è la Svizzera che deve stabilire quali sono i criteri per definire se il contribuente sia un dipendente o meno. Su questo aspetto ci sono tuttora in corso delle discussioni.
In ogni caso tra Italia e Svizzera non si osservano più accese contrapposizioni, manifestatesi anche in un recente passato, come quelle che hanno riguardato i ripetuti scudi fiscali, black-list e fiscalità dei frontalieri.
La Confederazione già da diversi anni applica il sistema dello scambio automatico di informazioni e quindi i dati fiscali vengono trasmessi anche all’Italia. Da questo punto di vista la Svizzera oggi è come un qualsiasi altro Paese europeo.
Notiamo però che i nuovi provvedimenti prospettati dall’Italia, di cui abbiamo appena parlato, si traducono poi in concreto in una serie di regimi fiscali speciali non concordati nei confronti di categorie di soggetti che operano in Svizzera.
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Ritengo che questo non si giustifichi più, proprio alla luce del fatto che oggi Berna scambia le informazioni fiscali, come tutti gli altri Paesi. Inoltre l’Italia dovrebbe considerare che l’introduzione di nuovi regimi fiscali potrebbe far uscire i frontalieri dal regime concordato nell’accordo bilaterale con la conseguenza che, per tali contribuenti, potrebbe anche non più ricevere i ristorni che invece oggi incassa.
Il Consiglio federale a volte viene criticato per il suo atteggiamento ritenuto eccessivamente prudente e circospetto nei confronti dell’Italia. Penso in particolare alla citata questione della tassa della salute o alla sospensione unilaterale dell’accordo di Dublino da parte di Roma (in tema di riammissione dei profughi che spetterebbero all’Italia).
Alcuni parlamentari hanno presentato un paio di anni fa due interpellanze in cui il Consiglio federale veniva invitato a modificare la strategia nell’ambito dei negoziati bilaterali con l’Italia. Si chiedeva in particolare di adottare un approccio sistemico e trasversale, non più limitato a singoli temi, e di vincolare la conclusione di negoziati in corso all’ottenimento di alcuni risultati per la Svizzera. Si potrebbero così bilanciare a livello complessivo le concessioni che i due Stati sono disposti a farsi reciprocamente, anche in modo incrociato.
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Abbiamo infatti potuto constatare che quando con Roma si negozia su un singolo tema alla fine difficilmente si riesce a portare a casa qualcosa sulle questioni di interesse esclusivo della Confederazione. L’esempio lampante ce lo fornisce proprio la controversia relativa all’accesso al mercato transfrontaliero dei servizi finanziari, che si trascina ormai da troppi anni.
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