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A che punto siamo con l’Ilva (tenetevi forte)

keystone

Hypercorsivo di Massimo Donelli

Lo confesso: mi è venuto il mal di testa.

Accidenti a me quando ho deciso di capire a che punto siamo con l’IlvaCollegamento esterno!

Scartoffie.

Montagne di scartoffie.

Parole.

Fiumi di parole.

E nebbia.

Un gigantesco banco di nebbia.

Che tutto avvolge e stravolge, rendendo difficile raggiungere il nocciolo duro della verità.

Ma, leggi di qua, studia di là, eccomi a voi con qualche piccola certezza.

Quanto basta, insomma, per capire che, come al solito, ci stanno prendendo in giro.

Eccome.

Prima di tutto, un po’ di storia.

L’Ilva è un impianto siderurgicoCollegamento esterno esteso su 15 milioni di metri quadri, una superficie doppia rispetto alla confinante e bellissima città di TarantoCollegamento esterno, 192 mila abitanti sul Mar IonioCollegamento esterno.

I dipendenti, che hanno un’età media di 39 anni, sono 16 mila 200.

Ai quali vanno aggiunti tra 8 e 10 mila lavoratori impiegati nelle imprese dell’indottoCollegamento esterno.

Il totale, quindi, è di 24-26 mila persone.

Cui corrispondono altrettante famiglie.

Chiaro no?

Più o meno la metà dei tarantini campa grazie al bestione.

Ilva=stipendio fisso=sicurezza=futuro.

Sembrava così, quando la storia è cominciataCollegamento esterno (1961) e l’azienda, che apparteneva all’IRICollegamento esterno, si chiamava FinsiderCollegamento esterno.

E così ha continuato a sembrare per tutti gli anni della proprietà pubblica, durante i quali l’IRI e i sindacati, sorvolando sui terribili danni ambientaliCollegamento esterno, facevano finta di farsi la guerra, ma, in realtà, andavano felicemente a braccetto.

Sì: a braccetto verso il crac.

Infatti, quando, nel 1994, Romano ProdiCollegamento esterno, presidente dell’IRI, ha ceduto la Finsider a Emilio RivaCollegamento esterno per 1.649 miliardi di vecchie lire, il compratore si è dovuto accollare ben 1.500 miliardi di debiti.

E, ovviamente, si è dato da fare per recuperare in fretta l’investimento.

C’è riuscito?

Sì.

Alla grande.

Ribattezzata Ilva (è l’antico nome dell’Isola d’ElbaCollegamento esterno, che sul ferro ha sviluppato la propria economia), l’azienda non solo è stata risanata nei conti, ma ha addirittura conquistato il primato europeo dell’acciaio.

Tutto a posto, quindi?

Macchè.

Nel 2012 è scoppiato il bubbone.

E che bubbone!

I Riva (e non solo loro) sono finiti sotto inchiesta giudiziaria per disastro ambientale.

Hanno ereditato dallo Stato una macchina di morte e, secondo l’accusa, non si sono minimamente preoccupati di renderla innocua.

L’Ilva, infatti, nel corso degli anni ha prodotto non solo acciaio, ma anche tumori.

Micidiali.

Per gli adultiCollegamento esterno e per i bambiniCollegamento esterno.

In 13 anni sarebbe costata la vita a 386 personeCollegamento esterno!

Di più.

I Riva sono stati accusati di aver instaurato in azienda una dirigenza-ombraCollegamento esterno.

Anzi: una moderna GestapoCollegamento esterno.

Che ha imposto il pugno di ferro, arrivando a creare un lager punitivo per i lavoratori indisciplinati, la famigerata palazzina LafCollegamento esterno: pareti spoglie, scrivanie vuote, nulla da fare per tutta la durata del turno.

Inquinatori, quindi.

E malvagi.

Così dicono le carte dell’inchiesta.

Che, per loro, ha rappresentato l’inizio della fine.

Avevano sventato il crac, sono finiti nel tritacarne.

Dopo l’intervento della magistratura, infatti, nel giro di un paio d’anni è successo di tutto.

In sintesi…

L’Ilva è stata commissariataCollegamento esterno.

Emilio Riva è mortoCollegamento esterno.

Suo figlio Fabio, per tre anni latitante, si è costituito a giugno 2015 ed è l’unico imputato in galeraCollegamento esterno tra i 47 (uno è Nichi VendolaCollegamento esterno) che dovranno affrontare il processo chiamato Ambiente svendutoCollegamento esterno, aperto e subito rinviato per pasticci proceduraliCollegamento esterno.

Avete capito, no?

C’è stato uno tsunamiCollegamento esterno politico-giudiziario-mediatico.

Dopo il quale tutto è cambiato.

Tranne un… piccolo dettaglio: il bestione non cessa di far danni alla salute.

Per esempio, con la sinistra area GRF (Gestione rottami ferrosi), grande oltre 5 ettari, ossia quanto 53 campi di calcio messi insieme.

Sequestrata dalla magistratura nel 2012, riaperta dal governo, la GRF è super-inquinanteCollegamento esterno.

E l’ultimo report dell’autorevolissimo Politecnico di TorinoCollegamento esterno, consegnato dall’azienda al ministro dell’Ambiente, Gianluca GallettiCollegamento esterno (che non ha ritenuto di divulgarloCollegamento esterno), parla chiaro: la diossina registrata nel quartiere TamburiCollegamento esterno, adiacente allo stabilimento, ha valoriCollegamento esterno quaranta volte superiori a quelli ritenuti accettabili.

Valori, per capirci, registrati in Italia solo dopo il disastro di SevesoCollegamento esterno.

L’allarme, emerso pochi giorni fa grazie agli ambientalisti di PeacelinkCollegamento esterno, riaccende d’improvviso i riflettori sulla storia dell’Ilva.

Che, come spesso accade in Italia, dopo paginate e paginate di giornali, era stata inghiottita dall’oblio.

Nessuno ne parlava più, tranne qualche trafiletto qua e là nella sezione economia.

Ma tra pochissimo, vedrete, inquinamento a parte (si fa per dire…), la faccenda tornerà alla ribalta.

Perché non è chiaro che cosa sarà deciso nei prossimi mesiCollegamento esterno.

È invece sicuro che la scelta farà, comunque, rumore.

Chiudere per evitare che muoiano altri uomini, donne, bambini?

O tenere aperto per non mettere sul lastrico migliaia di famiglie?

A quale prezzo si possono garantire lavoro e salute insieme?

E chi è disposto a pagarlo?

Dopo un bel po’ di colpi al cerchio e altrettanti alla botte, fin qui si è deciso di bloccare (per finta) una parte dello stabilimento; fare qualche (marginale) intervento ecologico; tirar via la fabbrica ai proprietari inquisiti; rimetterla provvisoriamente nelle mani dello Stato; venderla “entro 36 mesi” ma con l’obbligo, per il compratore, di risanarla totalmente.

Nominati i commissari ad hoc

… stilati tonitruanti comunicati stampa…

… eseguita alla perfezione la solita propaganda digitale…

… oggi siamo, italianamente, nella palta.

L’Ilva perde tra i 40 e i 50 milioni di euro al mese.Collegamento esterno

E mentre Palazzo Chigi si è impegnato fin qui a garantire 1,5 miliardi di euro, ufficialmente per il risanamento, l’Unione europea non crede ai buoni propositi ambientalistici e minaccia sfracelli contro gli aiuti di StatoCollegamento esterno.

Non basta.

Il mercato dell’acciaio ha visto un drammatico calo della domandaCollegamento esterno.

E il commissariamento è già stato prorogatoCollegamento esterno.

Mica è finita…

La famiglia Riva si sente ingiustamente espropriata.

Perciò rivuole indietro l’aziendaCollegamento esterno.

Il caosCollegamento esterno, insomma.

Tanto che, se non si trattasse di una tragedia, ci sarebbe perfino da ridere.

Soprattutto pensando al fatto che l’Italia ha chiesto alla Svizzera di prelevare 1,2 miliardiCollegamento esterno di euro dai conti elvetici dei Riva e spedirli a Roma.

Motivazione: sono guadagni illeciti.

Risposta degli svizzeriCollegamento esterno: potremmo avere la sentenza definitiva che lo attesta?

Sì, avete indovinato: la sentenza, naturalmente, non c’è.

Così il malloppo ha generato una situazione schizofrenica.

La Svizzera lo tiene ben chiuso in un caveauCollegamento esterno.

L’Italia lo dà già per acquisito e l’ha computato nel calcolo dei costi del risanamento: 3,4 miliardi di euro, che scenderebbe a 2,2 se, appunto, rientrasse il tesoro dei Riva.

Se…

Di se e di ma questa storia è piena.

Tutti si sono infranti contro una semplice verità: o si sbaracca tutto o si risana tutto.

Nel primo caso si apre una voragine sociale.

Nel secondo si apre una voragine finanziaria, l’ennesima, nei conti, malconci, dello Stato italiano.

Che, appunto, si è preso non settimane, non mesi, ma addirittura anni per risolvere la faccenda.

Peccato che dall’ottimistico postCollegamento esterno di Matteo RenziCollegamento esterno (3 marzo 2015) non si siano fatti progressi di sorta.

E che l’Ilva, più che mai, sia fuorilegge.

Perché, come dicevamo, inquina ancora (guardateCollegamento esterno).

E perché chi la governa ha ottenuto un incostituzionale salvacondotto giudiziarioCollegamento esterno.

Proprio così, per quanto possa sembrare inaudito.

I commissari nominati da Palazzo Chigi non corrono rischi penali nell’esercizio delle loro funzioni.

E siccome di Ilva, dentroCollegamento esterno e fuori la fabbrica, si continua a morire, con chi se la possono prendere le povere vittime del bestione?

Con nessuno.

Riassumendo…

La fabbrica, che doveva chiudere perché pericolosa, è aperta.

Duello italo-svizzero a parte, mancano comunque i fondi per renderla eco-compatibile.

E lo Stato, per non creare nuovi disoccupati, sta buttando quattrini nella… fornace.

Fino a quando?

Entro il 15 aprile dovranno avere una risposta le 29 aziende che si sono messe in fila per rilevare il bestioneCollegamento esterno.

A quali condizioni e quale prezzo siano disposti a pagare, non si sa.

Una cosa è certa: la partita è, letteralmente, cruciale.

E non solo per TarantoCollegamento esterno, ma per l’Italia.

Nel frattempo la linea del governo (Galletti docetCollegamento esterno) è quella dell’antica canzoncina: “Facciamo finta che-tutto va ben-tutto va ben“.

E chi non la pensa così, è, ovviamente, un gufo…

Segui @massimodonelliCollegamento esterno

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