A piccoli passi nella conciliazione di lavoro e famiglia
di Alessandra Casarico e Daniela Del Boca, LaVoceInfo
Come promesso da una delle deleghe del Jobs act, il governo ha emanato il 20 febbraio un decreto legislativo che contiene misure per la tutela della maternità e per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
Il primo obiettivo riguarda l’estensione della possibilità di utilizzo del congedo parentale fino ai 12 anni del bambino dagli 8 attuali e di quello parzialmente retribuito dagli attuali 3 anni ai 6 anni.
Una maggiore flessibilità nell’utilizzo del congedo parentale, comunque a parità della sua durata complessiva, può consentire alle famiglie di scegliere i tempi per loro migliori da dedicare alla cura e al lavoro. Consente alle madri – ricordiamo che sono le donne a usufruire nella maggioranza dei casi del congedo parentale, spesso anche per convenienza economica – di non concentrare nei primi anni di vita del bambino il periodo di congedo, senza il rischio di perdere questo diritto.
La possibilità poi di usufruire del congedo su base oraria e non solo su base giornaliera va nella direzione di rendere l’organizzazione dei tempi di lavoro una scelta della famiglia. Una delle ragioni di non ritorno delle donne dal congedo di maternità sta nella difficoltà di articolare i tempi di lavoro in modo da renderli più adeguati alle nuove esigenze familiari.
Se la flessibilità di utilizzo del congedo in un arco più lungo del ciclo di vita è importante, la reale necessità di tempo per la famiglia è molto più pressante nei primi anni di vita dei figli, specie in mancanza di una struttura efficiente e accessibile di servizi per l’infanzia. Le strada da percorrere per una riduzione del costo dei figli sulla carriera lavorativa delle mamme prevede, da un lato, una maggiore condivisione delle responsabilità con i padri, sul modello dei paesi scandinavi ma anche della Spagna (per ora in Italia rimane un solo giorno obbligatorio di congedo di paternità); e, dall’ altro, maggiori investimenti nell’offerta di nidi.
Una delle proposte della “Buona scuola” è quella di costituire un sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni, annullando la separazione tra asili nido e scuole di infanzia e ponendo entrambi sotto la responsabilità unica del ministero dell’Istruzione. Oggi i nidi sono gestiti prevalente dalle amministrazioni comunali (nonostante la legge sul federalismo fiscale), che hanno subito fortissimi tagli con risposte molto eterogenee da comune a comuneCollegamento esterno Anche se non avrà un percorso facile né breve dati gli alti costi di attuazione (in un momento in cui si chiedono riforme a costo zero o quasi), la proposta va nella direzione di adempiere ai target europei e rendere più efficiente e potenzialmente più equo il sistema scolastico, promuovendo fino dalla primissima età quell’uguaglianza di opportunità che la letteratura ha dimostrato essere cruciale per mettere a pieno frutto il capitale umano di un paese.
Tutele per i lavoratori autonomi
Il secondo punto importante del decreto è quello di estendere le tutele ai lavoratori autonomi, equiparandoli ai lavoratori dipendenti, e di attribuire ai lavoratori e alle lavoratrici iscritte alla gestione separata il diritto alla indennità di maternità anche quando il datore di lavoro non abbia versato i contributi: la tutela della maternità (o della paternità) rimane comunque fermamente ancorata al rapporto di lavoro e le indennità sono corrisposte alle madri (o ai padri) in quanto lavoratori con figli, e non in quanto genitori, in un’ottica lontana dal welfare universalistico.
Il telelavoro
Il terzo punto riguarda i benefici per le imprese che ricorrono al telelavoro per esigenze di cure parentali da parte dei lavoratori. Questi incentivi sono importanti per molte ragioni. Un’organizzazione del lavoro troppo rigida comporta infatti una penalizzazione delle carriere delle donne che si vedono costrette a uscire dal mercato o a scegliere lavori meno qualificati o precari, pur di avere gradi di flessibilità che permettano la cura dei figli o degli anziani in famiglia. Ricordiamo che in Italia una madre su quattro a distanza di due anni dalla nascita del figlio non ha più un lavoro, un dato stabile nel tempo. Claudia Goldin in un recente contributo sottolinea come siano proprio la struttura del mercato del lavoro e la tendenza in molte professioni, specialmente quelle più remunerative, di continuare a premiare le lunghe ore in ufficio ad alimentare e mantenere forti i divari salariali di genere.
Congedo per le vittime di violenza di genere
Infine, il decreto introduce per la prima volta una norma che riguarda il congedo per le donne vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione. Il decreto prevede la possibilità di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo l’intera retribuzione, le ferie e il diritto di trasformare, se richiesto dalla lavoratrice, il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Queste possibilità riconoscono come la violenza di genere produca non solo danni psicologici e fisici, ma come abbia anche un potenziale impatto negativo sull’esperienza di lavoro e sui guadagni delle vittime.
Aspettando i prossimi decreti
Non tutti i punti toccati dalla delega si ritrovano in questo decreto, in particolare non vi sono compresi il credito d’imposta per le lavoratrici con figli minori e le modalità di integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali. I decreti che disciplineranno gli incentivi fiscali al lavoro femminile – il cosiddetto tax credit – e che definiranno l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali saranno il vero banco di prova per comprendere quanto il governo intenda investire sul lavoro delle donne e quanto le infrastrutture sociali siano considerate uno strumento prioritario per favorire la conciliazione dei tempi del lavoro e della famiglia.
Non è solo una questione di cura dei più piccoli: in uno dei paesi più vecchi al mondo, secondo in Europa solo alla Germania, la cura degli anziani è una sfida alle possibilità di conciliazione e al welfare altrettanto seria quanto quella della cura dei bambini. È (anche) su questo terreno che si gioca la partita del lavoro delle donne. Partita in cui il governo Renzi deve (ancora) dichiarare quante risorse vuole puntare. I risparmi della spending review, se applicata, sarebbero ben utilizzati in questo ambito.
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