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Caso Regeni: torture, messinscene e gas nel Mediterraneo

ANSA

di Aldo Sofia

Paola Regeni. Una madre che non grida il suo dolore, rimane incredibilmente lucida, analizza i fatti, pretende con calma determinazione la verità, e dice che solo allora ritroverà le lacrime per la sorte del figlio trucidato al Cairo. Una lezione di forza e dignità. Ma la dignità non è esattamente ciò che contraddistingue i suoi teorici interlocutori. Cioè i generali egiziani, che quella verità l’hanno sequestrata. Con una serie di invenzioni grottesche, e anche insultanti, sulla fine di Giulio Regeni, ventottenne ricercatore italiano dell’Università di Cambridge, impegnato in un lavoro di dottorato sui problemi sindacali nel paese dei faraoni, scomparso il 25 gennaio, e il cui corpo martoriato venne “casualmente” ritrovato dopo una settimana, lungo la strada che porta ad Alessandria.

Un’evidente e sconcia presa in giro, quella del regime dittatoriale guidato dal generale El Sissi. Una serie di versioni, invenzioni e messinscene contraddittorie, senza tema di sconfinare nell’insulto, se non proprio nel ridicolo. Si è passati dal banale incidente stradale alla lite finita male, dalle frequentazioni pericolose (con sospetti rapporti omosessuali) ad un’azione terroristica probabilmente da attribuire ai nemici islamisti del governo, per finire con Regeni vittima di una banda criminale. Naturalmente criminali (cinque) tutti uccisi dalla polizia in uno scontro a fuoco, nel cui covo sarebbero stati rinvenuti documenti e altri oggetti appartenuti alla vittima, per poi scoprire che solo una parte di quei “reperti” erano della vittima.

Bisogna sapere cos’è l’Egitto di oggi per inquadrare la vicenda. Un paese controllato capillarmente da un regime dittatoriale, impostosi con il colpo di Stato nel 2013, approfittando del generale scontento della società civile per il governo dei Fratelli musulmani democraticamente eletti. Processi sommari, condanne a morte, denunce di torture, libertà di stampa soffocata. Peggio che ai tempi di Mubarak, costretto a dimettersi dai manifestanti di Piazza Tahrir, ma che non rischia più la pena capitale, promessa invece al leader della Fratellanza ed ex presidente, Mohammed Morsi.

Ma non solo gli islamisti subiscono il clima di terrore. Anche ex protagonisti della primavera araba sono nel mirino del regime. Una massiccia violazione dei diritti umani che ha il suo braccio operativo e violento nel “Mukhabarat” (servizi segreti egiziani). Che tutti, ormai, indicano come il più che probabile responsabile del corpo martoriato e seviziato di Giulio Regeni. “Torturato come ai tempi del nazifascismo – ha detto mamma Paola dopo aver visto il cadavere del figlio – L’ho riconosciuto solo dalla punta del naso”.

Lo sappiamo, per favorire la stabilità e contrastare il terrorismo di matrice jihadista, l’Occidente ritiene di avere di nuovo bisogno dei peggiori dittatori medio-orientali. C’è nostalgia dei vari Saddam e Gheddafi. Ma c’è di più. Ci sono in ballo anche succosi interessi economici, soprattutto sul piano energetico. E il governo Renzi era stato uno dei primi ad omaggiare Fattah El Sissi. “Questo è un paese di straordinarie opportunità… e abbiamo fiducia nella sua leadership e nella sua saggezza”, aveva detto il premier italiano incontrando il generale, lo scorso anno, a Sharm El Sheik. Chissà se lo pensa ancora.

Sta di fatto che Roma alza i toni, minaccia di congelare i rapporti diplomatici, sostiene di essere pronta a passare alle sanzioni tutto pur di ottenere la verità sui killer di Giulio Regeni. Si vedrà. Per ora noi ci limitiamo alla cronaca. Da “la Repubblica”, ecco un titolo a tutta pagina di pochi giorni fa: “Eni tratta con la russa Lukoil per il gas in Egitto”. In sostanza il “Cane a sei zampe” sta negoziando la vendita del 20 per cento di Zohr, la più grande scoperta di gas fatta dall’Eni nel Mediterraneo. Precisazione dello stesso giornale: “A fine febbraio è giunta l’autorizzazione egiziana per l’estrazione, che dovrebbe partire nel 2017 e raggiungere 500 mila barili entro il 2019”. Il “caso Regeni” era scoppiato un mese prima.

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