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Chi governerà la Siria?

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di Rony Hamaui, Lavoce.info

La battaglia di Aleppo è decisiva dal punto di vista militare e politico per Assad, anche se non potrà riconquistare l’intero territorio nazionale. Un quadro reso oggi più complicato dai cambi di strategie dei ribelli, dalle legittime aspirazioni del popolo curdo e dall’intervento della Turchia.

La battaglia di Aleppo

La lunga guerra civile in Siria appare ancora lontana da ogni presumibile conclusione. Lo testimonia il fallimento della tregua firmata a Ginevra tra Stati Uniti e Russia per soccorrere la martoriata Aleppo, città tra le più antiche al mondo, trasformata in quattro anni in un cumulo di macerie, un’ecatombe di 25mila morti e milioni di profughi. Eppure molti osservatori sono convinti che la guerra siriana sia a un punto di svolta.

Ogni reale possibilità di vittoria delle forze antigovernative è sparita lo scorso autunno, con l’entrata in campo delle forze russe. È probabile che nelle prossime settimane le forze di Bashar al-Assad, assieme ai pasdaran iraniani e agli hezbollah libanesi, ma soprattutto grazie ai bombardamenti russi, riescano a vincere la battaglia di Aleppo – diventata un simbolo della guerra. Battaglia decisiva, da un punto di vista militare e politico, perché permetterebbe al dittatore di Damasco di controllare le principali città, reti di comunicazioni e imprese del paese. Sarà tuttavia difficilissimo per Assad riconquistare l’intero territorio nazionale e ristabilire i confini del vecchio stato siriano.

Le truppe dell’Isis (Daesh in arabo) sembrano, invece, vicine alla sconfitta e a un radicale cambio di strategia. Negli ultimi mesi il Califfato ha perso oltre il 55 per cento del proprio territorio, il controllo delle principali vie di comunicazione e – vista anche la caduta del prezzo del petrolio – introiti finanziari. Anche se la caduta di al-Raqqa, capitale dello stato, è ancora lontana, la sua sorte appare segnata. È verosimile che ciò spinga Daesh a rinunciare all’immediata costituzione di uno stato islamico per puntare invece alla lotta attraverso attentati in tutto mondo, come dimostrano i recenti attacchi terroristici in Europa, Stati Uniti, Asia e Medio Oriente.

Cambi di strategia

Anche sul fronte dei ribelli, i mesi recenti hanno visto un rapido mutamento degli equilibri tra le forze in campo. Lo scorso luglio, il principale gruppo di opposizione Jabhat al-Nursa, inizialmente legato ad al-Qaeda e finanziato principalmente dall’Arabia Saudita, ha dichiarato di volersi allontanare dall’organizzazione fondata da Osāma bin Lāden e ha cambiato nome in Jabhat Fatch al-Sham (Fronte della conquista del Levante). Come dichiarato dal suo leader al-Jolani, il fine è quello di riunire i numerosi gruppi sunniti ribelli legati al salafismo jihadista, ai fratelli musulmani e agli altri combattenti.

Seppure i legami ideologi con al-Qaeda rimangano forti, il cambio di strategia appare rilevante sotto almeno tre aspetti. Primo perché allontana il principale gruppo di opposizione dalla tradizione elitaria dell’organizzazione guidata da al-Zawahirii, per assumere un carattere più nazional-popolare. In secondo luogo, perché a differenza dell’Isis, che non ha mai voluto contaminazioni o alleanze con altri gruppi, la nuova formazione cerca di porsi alla testa di una vasta coalizione di forze di opposizione al regime. Infine, perché un simile raggruppamento, che già oggi attrae le simpatie del Qatar e di altri paesi, domani potrebbe convincere anche la Turchia e diventare una forza davvero rilevante nella regione.

Recep Erdogan è recentemente voluto entrare in azione nella regione con l’operazione “Scudo dell’Eufrate” volta più a bloccare l’avanzata del fronte Syrian Democratic Forces (Sdf), guidato dai curdi e spalleggiato dagli Stati Uniti, che a combattere Isis. Finora l’America è riuscita a contenere l’iniziativa turca e a proteggere i ribelli curdi dalle forze di Ankara. Il rischio tuttavia è che un’America troppo schierata con i curdi possa ulteriormente allontanare la Turchia dall’alleanza occidentale.

In conclusione, tutto ciò rende molto difficile la posizione degli Stati Uniti, che già oggi devono difendere le milizie estremiste islamiche che combattono ad Aleppo contro i russi. Domani l’America dovrà anche evitare una vittoria troppo schiacciante di Assad, la nascita di uno stato islamico jihadista nel nord della Siria, la difesa delle legittime aspirazioni del popolo curdo e la necessità di non perdere un alleato strategico come la Turchia, oltre che sconfiggere l’Isis.

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