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Contro l’odio terrorista i “giardini” di Gabriele

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Dacca, e poi Nizza. A sole due settimane di distanza, l'Italia assiste allo strazio del ritorno in patria di quelle bare avvolte nel tricolore: il ritorno delle vittime del terrorismo, dal lontano Bangladesh alla confinante Francia. Uccise in nome di un "Dio negato", di una convivenza condannata, di una tolleranza da estirpare.

E’ disperante il ripetersi di questi attentati, che ormai possono colpire tutti e ovunque. Ma c’è una notizia – poche righe sommerse nel mare di tragiche o inquietanti informazioni di questi giorni – che ci dice un’altra cosa: che ricordare che credere nella coesistenza è possibile, anzi doveroso. Infatti, proprio nelle ore della folle carneficina sulla Promenade des Anglais, a centinaia di chilometri di distanza, nella capitale araba teatro di un altro assalto terroristico, Tunisi (22 morti, fra cui 4 italiani, fra i turisti del museo Bardo), proprio in quelle ore veniva inaugurato il “Giardino dei Giusti”: dedicato ad arabi e musulmani che si sono battuti, anche a costo della propria vita, per salvare chi era minacciato da stragi, fanatismo, odio religioso.

Conosco da anni l’ideatore di questi “Giardini dei Giusti”: il giornalista e scrittore Gabriele Nissim, che è stato anche collaboratore della Televisione Svizzera Italiana, per la quale realizzò diversi e preziosi documentari dedicati alla violazione dei diritti umani. Gabriele non nega l’unicità della Shoah, cioié l’Olocausto degli ebrei per mano nazista, e del resto la sua iniziativa prende spunto proprio dai “Giusti” che vengono ricordati nel museo Yad Vashem di Gerusalemme. Ma, superando non poche diffidenze anche da parte della comunità a cui appartiene, tredici anni fa Nissim volle concretizzare – col primo “Giardino dei Giusti”, sul “Monte Stella” di Milano – l’idea che da tempo gli stava a cuore: onorare i “Giusti” di ogni guerra e conflitto, perché anche in quelle tragiche realtà (come avvenne negli anni del nazismo) c’é sempre qualcuno che si batte, rischiando, per soccorrere e mettere in salvo il “nemico” presunto.

Un’idea semplice, ma ci voleva la volontà, la profonda convinzione, persino la “testardaggine buona” di un Gabriele Nissim per superare ogni scetticismo, e renderla concreta. Diversi “Giardini” sono così sorti in diverse città. E basta scorrere i nome degli “eroi” a cui é stato dedicato negli scorsi giorni quello di Tunisi per capire il significato e il valore di questa prima iniziativa in terra araba: Farazz Hussein, lo studente bangalese che durante il blitz terroristico di Dacca avrebbe potuto salvarsi poiché musulmano, e che invece decise di rimanere insieme alle sue due amiche ed essere con loro trucidato; Ben Abdesslem, guida turistica che portò in salvo diversi turisti durante l’attacco al Bardo; Khaled Al-Assad, il custode di Palmira assassinato dall’Isis perché si opponeva alla distruzione di ciò che rimane dell’antica città; Tarek Bouazizi, il giovane venditore ambulante che si diede fuoco in segno di protesta contro l’allora dittatura tunisina dando avvio alle speranze (purtroppo soffocate, ma non nel suo paese), delle “primavere arabe”); e ancora l’imprenditore Khaled Wahab, che durante l’occupazione tedesca nascose numerosi ebrei nel suo frantoio, sottraendoli a morte sicura.

I “giardini” di Gabriele – che hanno indotto il Parlamento europeo a proclamare il 6 marzo di ogni anno “giornata europea dei Giusti “- possono certo sembrare soltanto piccole gocce nel mare di xenofobia, fondamentalismi, odio, e negazione dell’altro che ci dà spesso l’impressione di avviarci verso nuove, tragiche derive. Ma sono proprio quelle “gocce” a dirci che nulla è inevitabile. Che la ragione , la generosità, il coraggio individuale alla fine possono essere più forti di ogni fanatismo.

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