“Così Facebook mina la sovranità”
Intervista a Paul-Olivier Dehaye, il matematico che ha fatto scoppiare il caso Cambridge Analytica, secondo il quale "la Svizzera dipende da decisioni prese nella Silicon Valley".
Facebook e gli altri social network sono sempre più parte integrante del dibattito politico. Ma a differenza dei canali tradizionali, come gli incontri pubblici o i confronti sulla stampa, le discussioni sulle reti sociali seguono logiche diverse, talvolta non trasparenti e più vicine alle regole del marketing che non a quelle della democrazia.
Queste dinamiche riguardano anche le campagne per le federali. Ne è convinto Paul-Olivier Dehaye, il matematico che ha contribuito a portare alla luce lo scandalo Cambridge Analytica, scoppiato nel 2018 dopo che si è scoperto che Facebook aveva condiviso in maniera impropria i dati di 50 milioni di utenti con una società di consulenza specializzata nella profilazione psicologica.
Cambridge Analytica, travolta dallo scandalo, l’anno scorso ha dichiarato bancarotta. Facebook, invece, è stato messo sotto pressione dalle istituzioni politiche statunitense, britanniche ed europee (lo stesso Mark Zuckerberg è stato chiamato a testimoniare al Congresso americanoCollegamento esterno, mentre Dehaye è stato ascoltato al Parlamento britannicoCollegamento esterno). Ma oggi, assieme ad altri social network, continua ad essere utilizzato da tutte le forze politiche per organizzare campagne elettorali sempre più mirate. Quali conseguenze ha tutto questo?
“Su un tema che gli svizzeri hanno molto a cuore, che è la sovranità, c’è stata una perdita completa. La Svizzera in questo momento è completamente dipendente da decisioni prese in qualche ufficio della Silicon Valley su come l’algoritmo ottimizza le cose, su quali correzioni apportarvi, su quale trasparenza imporre ai partiti politici. Su molte decisioni che sono cruciali nelle dinamiche di dialogo nel corso del processo elettorale, la Svizzera ha perso completamente il controllo”, afferma il matematico basato a Ginevra.
La Ad Library di Facebook
Così, mentre è possibile vedere che, ad esempio, da maggio a ottobre, negli Stati Uniti il maggior inserzionista, il comitato “Trump Make America Great Again”, ha speso quasi 14 milioni di dollari, o in Germania da marzo a ottobre la CDU ha speso oltre 287’000 euro, o ancora in Italia la pagina “Lega – Salvini Premier” ne ha spesi 130’000 e il Partito Democratico oltre 109’000, in Svizzera la banca dati delle spese (chiamata reportCollegamento esterno) non è consultabile perché non c’è, né è noto se sarà introdotta in futuro.
Algoritmo e campagne d’odio
Perché le inserzioni pubblicitarie siano efficaci, devono centrare il loro “bersaglio” (“target”). E per farlo hanno bisogno di informazioni sull’utente. I like, i commenti, le condivisioni e le interazioni in generale permettono a Facebook di associare informazioni a un profilo, registrarne le preferenze, le idee politiche, e addirittura prevederne le scelte. Le prese di posizione forti, come le reazioni di rabbia e indignazione, permettono dunque a Facebook e al suo algoritmo “di metterci in scatole sempre più piccole” e di conseguenza “di vendere pubblicità sempre più costose”.
Come difendersi dalle possibili manipolazioni?
Sfuggire alla “targetizzazione” pubblicitaria è quasi impossibile, visto che il modello economico di Facebook, come di altre piattaforme digitali, si basa sulla gratuità del servizio in cambio di informazioni sugli utenti. Qualche accorgimento, però, è possibile prenderlo intervenendo sulle impostazioni della privacy e modificando, quando è permesso, il proprio consenso alla profilazione. Tuttavia, “se si vuole veramente cambiare il tutto per il bene collettivo bisogna, pretendere la trasparenza: è un nostro diritto in Svizzera e in Europa”, afferma Dehaye. E qui la palla torna di nuovo nel campo della politica.
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