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Dall’ “eutanasia assistita”, il nuovo Senato dei Cento

Felice la ministra Maria Elena Boschi che ha dato il nome al disegno di legge - Immagine d'archivio keystone

di Aldo Sofia

Tanto tuonò che…non piovve. Le vivaci proteste dell’opposizione, le minacce di un nuovo “Aventino” (il permanente boicottaggio dell’Aula), i brontolii all’interno della stessa maggioranza, l’accusa di “attentato alla democrazia” (Berlusconi, ultimo in ordine di tempo), gli sguaiati dibattiti (con tanto di gesti sessisti): nulla ha impedito a Matteo Renzi di passare all’incasso della riforma per cui più si è speso, quella del Senato. Una sorta di “eutanasia assistita”, visto che la Camera Alta ha in sostanza votato per la propria eliminazione.

Il premier aveva promesso di rottamare una parte del Palazzo, e c’è riuscito. Il voto di conferma definitiva alla Camera (dove la maggioranza ha numeri solidi) sarà una formalità. Certo, trattandosi di una riforma costituzionale, si dovrà andare al referendum, probabilmente la prossima primavera. Il largo spettro dei contestatori, dai Cinque Stelle a Forza Italia, dalla Lega a Sel, promette nuove battaglie. Ma rischia di andare a sbattere una seconda volta. È infatti tale il risentimento popolare nei confronti della classe politica, continui gli scandali che l’attraversano, al punto più basso la sua credibilità, che è difficile immaginare un rovescio alle urne referendarie per il premier-segretario e il ripristino dell’attuale castello istituzionale. Tanto più che i futuri “senatori dimezzati” (scelti fra gli eletti regionali) non guadagneranno un euro in più, prospettiva che non dispiace certo agli italiani esasperati scandalizzati dall’alto costo della politica.

Si dirà che la riforma di Renzi parte con un grave “peccato originale”. Peccato politico. Cioè il necessario sostegno dei transfughi da Forza Italia, quelli che hanno voltato le spalle all’ex cavaliere per gettarsi nelle braccia di Denis Verdini, il “toscanaccio” implicato in diversi procedimenti giudiziari, l’ideatore di quello che fu il “Patto del Nazareno”, che portando il suo drappello dalla parte del premier spera di rimanere sul suo scranno ancora per un paio di anni, il tempo necessario per riposizionarsi, cercare nuovi alleati, magari dalle parti del nuovo centro destra di Angelino Alfano, che i sondaggi continuano a segnalare in via di estinzione. Certo, il PD a braccetto di Verdini qualche brivido lo provoca, soprattutto nella base post-comunista. Ma siamo pur sempre nel paese degli Scilipoti e dei Razzi, che salvarono l’ultimo governo di centro-destra cambiando disinvoltamente marsina.

Come sarà, come esattamente verrà eletto, e come opererà il nuovo “Senato dei Cento” è ancora in parte da scoprire, anche se in linea di principio dovrebbe rappresentare soprattutto gli interessi delle Regioni e svolgerà sostanzialmente un ruolo di vigilanza e di stimolo. Ma nel futuro sistema unicamerale non potrà più votare la sfiducia al governo. E’ l’architrave della riforma. E tutti ricordano come, soprattutto nelle ultime legislature, proprio le risicate maggioranze a Palazzo Madama fossero una costante graticola per governi con maggioranze in bilico. Memorabile la telefonata con cui Berlusconi chiedeva all’allora direttore generale della RAI di far lavorare alcune “starlette” amiche di senatori da convincere per mettere in crisi il governo di centro-sinistra.

Al di là dello spettacolo e del dibattito non certo degni con cui si è arrivati al varo della riforma, si tratta di una profonda svolta costituzionale, che cambia i connotati istituzionali del Bel Paese. Soprattutto se non verrà corretta la riforma elettorale concepita da Renzi per la Camera: in effetti, così com’è, e soprattutto a causa di uno spropositato premio di maggioranza per il partito vincente, l’Italia si avvia a un sistema di “premierato” dagli ampi poteri: formula assai lontana dagli equilibri studiati 70 anni fa dai “padri fondatori” della Costituzione, che, dopo l’esperienza del fascismo, tutto avrebbero voluto tranne la possibilità di “un uomo solo al comando”.

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