Di manganelli, aziende in bilico, e cattive norme europee
di Aldo Sofia
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Può darsi che quelle immagini siano il brutto viatico al temuto “autunno caldo” di un Paese sull’orlo di una crisi di nervi sociali. Le immagini delle cariche, dei manganelli, dei feriti, degli scontri con la polizia, dei controversi filmati e dell’immancabile polemica sulle responsabilità. Scene per nulla inedite, anche nella recente storia italiana. Ma stavolta l’assalto dei “celerini” non aveva come bersaglio studenti, fricchettoni, okkupanti, disubbidienti dei centri sociali, violenti di professione, bensì degli operai.
Non accadeva più da anni. Ed è come se quelle immagini dovessero certificare, dovessero sancire, rendere plastico un nuovo fronte di scontro. Quello fra “cipputtiani” ( il simbolo della classe operaia uscita dalla penna corrosiva di Altan) e “rottamatori” (convinti che vada marginalizzata anche la tradizione sindacale). Escalation di incomprensibili polemiche da entrambe le parti, la piazza San Giovanni mobilitata contro la riforma del lavoro, la “Leopolda” che simultaneamente a Firenze rinnova il rito renziano e l’affondo contro gli antichi veti attribuiti soprattutto alla CGIL.
Accuse e parole di fuoco, che nemmeno ai tempi di Berlusconi. Il tutto all’interno di una “sinistra” sempre più divisa, che regola i suoi conti anche fuori dai Palazzi, come se il 41 per cento dei voti ottenuti alle elezioni europee dal PD di Renzi debba accendere la miccia finale del duello interno e non aprire una nuova stagione pacificatrice.
Così, manganelli e baruffe alimentano la frattura ideologica. Occultano la complessità e la gravità dei problemi in un paese che va al suo quarto anno di recessione, che vede aumentare la disoccupazione (drammatica quella giovanile, ben al di sopra del 40 per cento), e che in soli sette anni ha perso 12 punti di Pil. Eppure, la vertenza degli operai delle acciaierie AST (Gruppo Thyssen, che annuncia l’ “esubero” di oltre 500 lavoratori), arrivati a Roma da Terni, evoca due problemi maggiori.
Il primo problema, poco discusso e poco noto, sta nell’esorbitante numero di aziende che nella Penisola hanno già messo i propri lavoratori nell’anticamera del licenziamento, destinati ad andare a gonfiare le fila di senza lavoro e cassintegrati. Sono ben centosessanta le aziende in bilico, per un totale di 155.000 operai, dei quali 28.000 già “condannati” col triste marchio di “esuberi”. Il comparto più colpito, quello della siderurgia. Ma quasi tutti i settori sono rappresentati, dalla chimica all’informatica, dall’elettronica al tessile.
Il secondo problema non è solo italiano. Riguarda le regole dell’Unione Europea. In effetti, una società finlandese, la Outokumou, si è detta disposta all’acquisto dell’AST, considerata dunque affidabile e redditizia. Operazione bloccata però dall’Antitrust di Bruxelles. Motivo: evitare una posizione dominante del gruppo scandinavo. E ci si può chiedere se in un momento di crisi come quella attuale, di delocalizzazioni e ristrutturazioni che alimentano una disoccupazione che nell’Unione colpisce venti milioni di lavoratori, non sia il caso quantomeno di allentare talune normative europee.
Così, un problema tutto italiano (rottura della concertazione governo-sindacati, e centinaia di aziende in bilico) si somma a un quadro normativo che riguarda la politica industriale europea (regole sull’antitrust). Sono i due punti che andrebbero urgentemente discussi e affrontati. Soprattutto nel momento in cui Roma ha la presidenza di turno dell’UE. Prevale invece il polverone delle polemiche. Certo inevitabili. Ma anche forzate, in parte strumentali. E probabilmente sterili.
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