Disaffezione alle urne? Vale più che altro per le regionali
Massimo Bordignon & Francesco Sobbrio (LaVoce.info)
I risultati delle elezioni regionali hanno scatenato un notevole clamore mediatico e molteplici discussioni nel mondo politico. Si annuncia la morte della democrazia, a causa della bassa partecipazione elettorale, e se ne traggano complessi auspici sulla tenuta del governo o sui risultati delle prossime elezioni politiche. Come per i mercati azionari si ha l’impressione di trovarsi di fronte a “profezie auto-realizzantesi”; tutti lo dicono, dunque deve essere vero, salvo poi magari rimanere sorpresi di fronte ai risultati delle prossime elezioni, così come del resto spesso succede nei mercati borsistici. Ma uno sguardo ai dati racconta una storia un po’ diversa. Parafrasando Mark Twain, quando lesse sulla stampa la notizia della propria morte, i commenti paiono un po’ esagerati o perlomeno prematuri.
Intanto, bisogna ricordare che si votava per il rinnovo dei consigli regionali in alcune regioni, e in tutte (tranne alcune regioni a statuto speciale) per il rinnovo di alcuni consigli comunali. Confronti tra l’affluenza a elezioni di tipo diverso, tradizionalmente caratterizzati da un diverso grado di interesse per gli elettori, non hanno molto senso. E in effetti, come mostra la tabella 1, anche alle elezioni di domenica scorsa, la partecipazione ai due scrutini è stata molto diversa. Mentre alle regionali hanno votato solo circa il 54% degli aventi diritto, l’affluenza alle comunali è stata pari a circa il 65%, un dato tutt’altro che disprezzabile. In secondo luogo, è vero che c’è stata per entrambe un riduzione della partecipazione rispetto alle precedenti elezioni del 2010. Ma nel 2010 si votava su un giorno e mezzo mentre questa volta si votava solo domenica; oltretutto una domenica di sole nel bel mezzo del più lungo ponte dell’anno.
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In terzo luogo, la tabella 1 mostra anche come la riduzione nell’affluenza sia stata più marcata per le regionali che per le comunali. Anche nel 2010 la partecipazione alle prime era stata più bassa che alle seconde, rispettivamente il 64.1% rispetto al 73.5%. Nel 2015, la partecipazione è stata del 54% per le regionali e del 65% per le comunali, perciò con una riduzione pari a 10.2 punti per le regioni e a 8.7 punti per i comuni. Dunque, il dato fa sospettare che dietro la riduzione dell’affluenza alle regionali, più che una generale disaffezione degli elettori per la politica tout court, ci sia piuttosto una forte disaffezione dei cittadini nei confronti di questo specifico livello di governo. Del resto, le regioni sono state investite da una bufera mediatica negativa, a seguito dei ripetuti scandali di cui si sono macchiati i consiglieri regionali negli anni scorsi, e lo stesso status delle regioni, in fase di revisione via riforma costituzionale, è al momento assai incerto. Non è dunque sorprendente che una parte dei cittadini abbia preferito disertare le urne, quando si trattava di votare per i consigli regionali.
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Questo è anche confermato da una seconda osservazione, contenuta dalla tabella 2. L’affluenza alle regionali nei comuni dove si votava anche per il sindaco è stata molto più ampia che nel resto dei comuni; il 68.6% rispetto al 50.4%. Viceversa, l’affluenza alle comunali nelle regioni dove non si votava per il rinnovo del consiglio regionale, è stata più o meno analoga: il 64.3%. Questo suggerisce che le comunali abbiano “tirato” le regionali; se non ci fossero state anche le comunali, l’affluenza alle regionali sarebbe stato ancora più bassa. E in effetti, assumendo che in assenza delle comunali tutti i comuni di una regione avrebbero visto una affluenza alle elezioni regionali analogo a quella osservata nei comuni della stessa regione dove non si votava anche per il sindaco, si può anche calcolare un controfattuale, cioè quanta sarebbe stata la partecipazione alle regionali senza le comunali. I risultati dell’esercizio sono riportati nel grafico. E questo esercizio non considera ancora le schede nulle o bianche; è almeno plausibile immaginare che molti cittadini andati per votare per il sindaco, e dunque “contati” anche per le regionali, abbiano poi deciso di lasciare in bianco o annullare la scheda regionale.
Fonte: Nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno
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L’ultima considerazione è che l’affluenza non è casuale. Coloro che decidono di votare, sono diversi da quelli che non partecipano, proprio per il fatto che hanno deciso di votare. Anche se di nuovo i dati non consentono un’analisi precisa (perché i partiti o le aggregazioni di partiti che partecipano ai due tipi di elezioni non sono le stesse), si può almeno supporre che gli elettori che comunque hanno deciso di votare alle regionali siano quelli più motivati. Tentare di prevedere sulla base dei risultati delle forze politiche alle regionali che succederà alle prossime politiche, quando verosimilmente voterà un altro 20-30% degli aventi diritto, è operazione assai azzardata.
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