Il futuro incerto di Genova
I lavoratori del porto sono preoccupati dalle conseguenze del crollo del ponte Morandi. La città è tagliata in due e alcune compagnie hanno già dirottato il traffico merci
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“Siamo preoccupati che il prezzo del crollo di ponte Morandi venga fatto pagare ai lavoratori del porto di Genova. È ancora presto per fare previsioni, ma di sicuro sappiamo che alcune compagnie hanno già dirottato parte dei loro traffici su altri scali. I numeri veri li avremo tra qualche mese”. Luigi Cianci è un lavoratore della Compagnia Unica (CULMV), che rappresenta un terzo dei portuali in grado di movimentare buona parte dei 69 milioni di tonnellate di merce di ogni tipo, in entrata e in uscita ogni anno dal porto.
Con oltre 4 milioni di passeggeri, il peso del porto per la vita dell’intera città è alto: circa il 6% dell’intera economia ligure si costruisce sui 22 chilometri di banchine che coprono, quasi ininterrottamente, la costa cittadina da levante a ponente. È il principale gateway italiano e mediterraneo. Qui ha luogo una parte sostanziale di scambi commerciali e turistici fra il Sud Europa e il resto del mondo.
Nelle ore immediatamente successive alla tragedia, però “750 lavoratori Ansaldo sono finiti in ferie forzate. Circa altri 70 manovratori portuali in cassa integrazione a rotazione, perché le macerie del viadotto hanno interrotto gli unici binari che garantivano la via d’accesso e di uscita dal porto. Questo è l’effetto degli investimenti su gomma, che hanno penalizzato il traffico su rotaia”, spiega Luca Franza, anche lui uno dei moderni e iperspecializzati camalli della CULMV. “Smantellare tutti i binari per far spazio ai container, era la parola d’ordine fin dal 2000, quando sono entrato a lavorare in porto di Genova”, prosegue Cianci.
Da quel momento le strade attorno alle banchine sono state invase da migliaia di camion. Da Spagna, Francia, Svizzera, Austria e Germania transitavano la maggior parte dei 5’000 mezzi pesanti che ogni giorno percorrevano il ponte, che ora spezza la città a metà.
“Ora piangono le vittime. Ma hanno sempre messo i profitti davanti alla sicurezza delle persone. Questo è l’effetto delle privatizzazioni”, dice con rabbia amara Luca Franza, collega di Andrea Cerulli, che il 14 agosto è rimasto schiacciato dalle macerie del ponte, mentre andava a lavoro al terminal container di Genova-Voltri.
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