E Maroni “riscoprì” il modello svizzero dei Cantoni
di Aldo Sofia
“Non vanno affatto bene”, mi rispose tempo fa Roberto Maroni, interrogato sui rapporti fra il Ticino e la Lombardia. Si era al culmine delle polemiche: da una parte la decisione di introdurre la richiesta del casellario giudiziale, e da parte del governatore lombardo la provocazione: “Se si va avanti così, chiederò ai frontalieri di scioperare per un mese, ai loro salari ci penseremo noi, e poi vediamo come va a finire per l’economia ticinese”.
Una sparata che rendeva bene il deterioramento delle “relazioni bilaterali” dell’area insubrica. E anche dei rapporti fra gli esponenti delle “due Leghe”, che segnavano costantemente il bel tempo e la piena intesa ai tempi del Nano, e del Bossi non travolto dagli scandali e ancora padrone del partito. Fase storica definitivamente archiviata, si direbbe. Tanto che ancora negli scorsi giorni due parlamentari della Lega Nord alla Camera di Roma hanno lanciato l’ultima offensiva: così come si prospetta, il nuovo accordo italo-svizzero sui frontalieri (voluto da Bellinzona) non va affatto bene.
Eppure certi simboli hanno la vita dura, e la Confederazione è sempre stata indicata come modello da parte del leghiamo lombardo, già dai tempi del professore Gianfranco Miglio, il teorico del federalismo-indipendentismo padano. Ed ecco infatti che proprio Roberto Maroni se ne viene fuori con una proposta che fa riferimento al “modello elvetico”. Il governatore propone che al posto delle Province – che prossimamente saranno definitivamente cancellate dalle riforme genziane – nascano dei Cantoni. Sarebbero otto in Lombardia, in sostituzione delle 12 Province attuali.
Solo un’ipotesi di lavoro, garantisce il governatore. E del resto siamo in una fase costituente. Ma intanto, secondo le illustrazioni apparse sulla stampa locale, avrebbe già abbozzato confini e nomi della nuova mappa regionale: così nascerebbero i cantoni dell’Insubria e della Brianza (confinanti con la Svizzera), e poi quelli di i cantoni della Città di Milano, di Pavia, della Montagna, di Bergamo, di Brescia, e a sud il cantone della Val Padana. “La Lombardia anticipa sempre tutti”, dice Roberto Maroni, che getta così il suo sasso (o macigno, visto il peso della Lombardia) nelle acque un po’ stagnanti della riforma costituzionale che per i contenuti deve ancora essere discussa a Roma dopo l’approvazione in prima lettura.
Proposta che non lascia del tutto indifferente il Partito democratico lombardo, il maggior partito locale d’opposizione. Il motivo è evidente. Non si tratta unicamente di individuare una nuova e virtuosa struttura dell’amministrazione locale da contrapporre all’idea poco chiara, ancora impalpabile, delle “Vaste aree” proposta dal governo Renzi. Le Regioni – con 20 mila impiegati – sono state finora anche una fonte di potere, di influenza politica, di favori e di clientelismo. Qualcosa a cui quasi tutti i partiti fanno fatica a rinunciare. Un “baraccone” di impieghi pubblici, lobbismo e favori che potrebbe far comodo tenere in vita. Magari sotto un’altra forma. I Cantoni, appunto. Che – nonostante il generale richiamo al modello svizzero – in realtà nulla avrebbero a che fare con quelli dell’architettura istituzionale elvetica.
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