Grandi opere e “Mandarini”, quando l’alta burocrazia é a rischio corruzione
di Aldo Sofia
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Parafrasando Giulio Andretti, mefistofelico in politica e sarcastico in fatto di battute, “in Italia ci sono due tipi di matti: quelli che credono di essere Napoleone, e quelli che ritengono possibile battere la corruzione”. Con sconsolante regolarità, la “mappa nera” del Bel Paese si “arricchisce” di nuovi episodi. E chissà come l’ultimo scandalo andrà ad incidere sulla classifica mondiale di “Transparency International” sulla corruzione percepita in 175 paesi del mondo. Già l’ultimo report era pesante: Italia maglia nera d’Europa, superata, in meglio, persino da Grecia e da Bulgaria (classifica che assegna la palma delle virtuosità alla Danimarca, e gli ultimi posti in classifica a Somalia e Corea del Nord).
Graduatoria stilata lo scorso anno, mentre ancora si discuteva degli scandali del Mose veneziano e dell’Expo lombarda. Ma poi c’é stata ancora “Mafia Capitale”, e ora la mega inchiesta sui cantieri del ministero delle Infrastrutture. Il rischio é dunque di scivolare ulteriormente sotto l’attuale 69esimo posto.
Ci si consola sottolineando il fatto che dopo tutto si tratta semplicemente di “corruzione percepita”. Solo “percepita”? Ma vallo comunque a raccontare agli investitori stranieri, che (insieme alla burocrazia e ai tempi lunghi della giustizia, non tanto all’ex e discusso articolo 18 sul lavoro) mettono proprio il tema dei rischi corruttivi fra quelli che li tengono ancora lontani dall’Italia: ultima nell’Unione Europea in fatto di investimenti esteri, denunciava uno studio dell’Istituto del commercio estero.
Vero, invece, che sa di “bufala” la stima recentemente fatta sul costo della corruzione: 60 miliardi di euro l’anno, quasi il triplo della manovra “Salva Italia”, cifra fatta propria persino dal “Washington Post”, e basata su una stima equivalente al 3 per cento del PIL elaborata più di dieci anni fa dalla Banca Mondiale. Numeri che quasi tutti gli esperti considerano sballati, inverosimili, spropositati. Ma che un merito l’hanno avuto, gettando un fascio di luce su una delle grandi piaghe della Penisola.
Piaga che, anche nel caso del Ministero delle Infrastrutture, e sempre che siano confermate le accuse della magistratura, si ripropone con due caratteristiche: le grandi opere come pozzo senza fine delle mani sporche, e l’intreccio fra alta burocrazia e politica. Là dove lo strapotere dli certi “gran commis” dello Stato può spalancare le porte al malaffare. Al centro dell’inchiesta sulle grandi opere fiorentine, Ettore Incalza, un super-burocrate che al Ministero delle Infrastrutture ha resistito per ben sette governi, nonostante diversi procedimenti, e con un unico semplice trasferimento di ufficio ai tempi di Di Pietro.
Certo, “grand commis” per lo più onesti. Ma…. continua a piazzare ministri incompetenti della materia che devono governare, e il potere dei “mandarini”, sugli stessi politici al governo, non farà che crescere, come dimostra il “caso Lupi”. Una ragnatela di “inamovibili” a (maggior) rischio corruzione.
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