I “gufi”, protagonisti della narrazione renziana
di Aldo Sofia
“Vi dò già il titolo: politica batte populismo quattro a zero”, suggerisce Renzi nell’ultima conferenza stampa dell’anno, e ci sono commentatori-aruspici che nella falsa sicumera del premier leggono quella che in realtà sarebbe la grande preoccupazione dell’ex sindaco: il timore che dicano la verità i sondaggi che ormai scommettono sulla vittoria dei Cinque Stelle se si andasse a votare oggi con la legge elettorale riformata proprio dal PD (doppio turno ed esagerato premio di maggioranza per la lista vincente). Altri analisti hanno invece colto i primi sintomi di sfiducia dell’ex sindaco nell’evidente calo di vivacità dell’ex rottamatore, pallido ricordo, sostengono, rispetto al ragazzaccio sorridente e pieno di verve che oggi cerca con stile assai meno brillante di difendere il bilancio del 2015.
Ma probabilmente il segnale più eloquente che Renzi tentenna è l’ennesimo, stucchevole, esagerato, ormai insopportabile ricorso al suo mantra trito e ritrito: quello dei “gufi”, un autentico esercito, che assediano il suo governo, costantemente all’opera per frenare l’opera riformatrice del presidente-segretario, e ora addirittura protagonista anche delle slides con cui il twitteratore per eccellenza cerca di convincere gli italiani. Davvero, non se ne può più. Né si capisce quale bisogno abbia il capo del governo di ricorrere continuamente alla retorica del gufo disfattista. Si sa, Matteo Renzi è uno che non ha bisogno di oppositori e interlocutori, ma piuttosto di “nemici” da sbertucciare. Insomma, se non esistessero gli avversari, Renzi sarebbe portato a inventarli pur di dare sostanza alla sua narrazione politica. Forse memore di quanto Arbatov, ex consigliere di Gorbaciov, disse agli americani sul finire della guerra fredda: “Vi infliggeremo un colpo fatale, vi priveremo del nemico”.
Più modestamente il capo del governo italiano ha ripiegato sull’ornitologia. Puntando sul “il più efficiente rapace notturno”, per dirla con gli specialisti del ramo. In realtà, l’aderenza del gufo alla simbologia negativa è assai controversa: simbolo di malaugurio secondo una radicata superstizione, mentre per altre civiltà e per altri periodi storici il piccolo rapace era simbolo di saggezza (per gli antichi ateniesi, ad esempio), ed in alcuni paesi il ciondolo che lo raffigura servirebbe a scacciare maledizioni e malanni.
Non certo per il giovane leader, imperterrito nella stanca elaborazione della sua storytelling. Ormai nell’infausta specie volatile include globalmente quelli che non la pensano come lui. Tutti a gufare. Le opposizioni, la minoranza PD, i sindacati. E naturalmente non mancano le new entry nel nido dell’uccellaio ed fra gli innumerevoli rosiconi: i giornalisti un tempo così corteggiati (“dipendesse da me, abolirei immediatamente l’Ordine”), l’Angela Merkel che impone un’Europa a guida tedesca (scoperta in verità tardiva per non essere strumentale), e persino il povero Cottarelli (rispedito all’FMI di Washington dopo aver presentato un voluminoso studio dei possibili tagli statali, politicamente sgradito a Renzi e ai suoi consiglieri economici del premier).
A questo punto persino gli italiani potrebbero averle piene per tanta ritualistica e sterile “gufaggine”. Ma al premier in palese difficoltà sondaggistica non manca l’ultimo guizzo. Fallirò tutto, dice in sostanza, se il popolo non voterà la madre di tutte le riforme: quella della cancellazione del vecchio Senato. Figurarsi se il premier può perdere quella scommessa in un Bel Paese che non vede l’ora di sanzionare la “casta” in generale. Che sia uno a cui piace vincere facile? Accidenti, non vorremmo passare per “gufi”. O forse sì?
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