Il 50 per cento di “bamboccioni”, e le lasagne della mamma
di Aldo Sofia
“Bamboccioni”, li definì l’ex ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa. Un’altra ministra, Elsa Fornero, preferì la lingua inglese, e li bollò di “choosy”, cioè schizzinosi. Il sottosegretario Michel Martone ci andò giù pesante, parlando addirittura di “sfigati”. Renato Brunetta lanciò la sua improbabile ed irridente proposta: “Ci vuole una legge che li obblighi ad uscire di casa al compimento dei 18 anni”.
Ma c’è poco da scherzare. Semmai, da preoccuparsi. Lo dice uno studio recente dell’Eurostat, l’Ufficio europeo di statistica. In Italia, i giovani fra i 25 e i 34 anni che vivono nella casa dei genitori sono addirittura il 46,6 per cento. Un super-esercito di giovanotti che non si è ancora emancipato. Perché non ci riescono a causa del mancanza del lavoro o dei bassi salari; per comodità; e in parte anche per un aspetto culturale. Sta di fatto che dalle statistiche, il giovane della Penisola è fra i più ….”mammoni” d’Europa, superati solo da quelli di Malta Grecia Bulgaria e Slovacchia (qui, addirittura il 56,6).
Se in Italia siamo quasi al cinquanta per cento di chi prima dei 35 anni continua a vivere con mamma e papà, in Scandinavia è soltanto… l’1,8 per cento, e fra i ragazzi che cercano di rendersi indipendenti al più presto spiccano quelli degli altri paesi scandinavi, Finlandia Svezia Norvegia, attorno al 4 per cento. La Svizzera è al nono posto col 14,4 per cento, a “pari merito” con la Gran Bretagna e prima della Germania (17,3).
La mappa europea di “bamboccioni” e “choosy” parla chiaro. E’ la crisi economica a tracciarne i confini. Molti più giovani restano a casa anche dopo la fine degli studi nei paesi dove le opportunità di un impiego sono minori. E infatti ufficialmente il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 48 per cento (media nazionale, immaginarsi nelle regioni più depresse del Suid. Quindi anche nelle nazioni dove c’é poca assistenza sociale, e la famiglia (genitori e nonni) diventa l’unico Welfare per le nuove generazioni. Infatti, con Italia e Grecia, gli altri paesi dove il fenomeno è più vistoso sono quelli dell’est del continente. Persino la Polonia, l’allievo modello dell’Unione Europea, supera il 40 per cento.
Certo, si invocano anche le differenze di abitudini: un’Europa protestante che favorisce l’abbandono del nido famigliare, e una cattolica più portata a trattenere i giovani a casa. Ma con un crudo linguaggio politically correct gli inglesi li indicano con l’acronimo “Neet” (persone che non studianti, non lavorano, non si formano), mentre per gli spagnoli sono invece degli “indivanados”, quelli che si battono….dal divano di casa.
Lazzaroni, dunque, o poco intraprendenti o troppo viziati. Certo, ci saranno anche loro. In realtà, si tratta soprattutto della generazione che, per la prima volta nel dopoguerra, vive nella consapevolezza di non poter raggiungere il livello di benessere e di sicurezza occupazionale che fu dei loro genitori. Qualcuno già parla di generazione perduta, e là dove le cifre sono più eloquenti la carenza della politica è evidente. La chiamano anche “generazione Erasmus”, il programma europeo di scambi fra studenti: mille euro al mese, quando ti va bene. Che non bastano a mettersi in proprio, pensare di farsi una famiglia, chiedere un’ipoteca per farsi un appartamentino.
Quindi non sorprende che proprio dal mondo di una politica distratta vengano distraenti definizioni, spesso vicine all’irrisione. Ma certo, ironizza il comico Brignano, la responsabilità non è di chi governa: “E’ sicuramente colpa delle lasagne della mamma”.
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