Il cane di Pavlov e altri tagli alle tasse
di Massimo Bordignon (Lavoce.info)
Reazioni automatiche
Ci risiamo. Deve essere il cane di Pavlov; appena un leader politico italiano si sente in difficoltà, la reazione automatica è quella di annunciare l’abolizione dell’imposta sulla prima casa. Mossa che più popolare di così non si può, in un paese dove l’80 per cento delle famiglie vive in una casa di proprietà, ma mossa anche poco sensata, e indicativa di una situazione di debolezza piuttosto che di forza.
Il problema non sono tanto i soldi, anche se trovare 3,5 miliardi entro il 2016 (che diventano 5 se ci si aggiunge l’Imu agricola e quella sugli imbullonati) non è esattamente una barzelletta. Il problema non è neanche dover re-intervenire per l’ennesima volta in pochi anni sulle imposte immobiliari: dopo l’indegno balletto Ici-Imu-Tasi, una razionalizzazione si impone per forza, e in effetti era già prevista con la nuova “local tax”.
L’assurdo è partire avendo già deciso che il problema principale è rappresentato dall’imposizione sulla prima casa, e non dalle miriadi di altre nefandezze che l’attuale tassazione immobiliare comporta, compreso l’eccesso di prelievo sui trasferimenti di proprietà e sulle imprese.
Un’imposizione sulla prima casa ben congegnata, come del resto era l’Imu prima versione, può ben comportare una sostanziale esenzione dalla tassazione dei nuclei familiari più poveri. Ma perché si debbano esentare a priori anche le famiglie medio-ricche, probabilmente tassandole da qualche altra parte in modo più distorsivo, non è chiaro.
Oltretutto, l’imposizione immobiliare nella logica della “local tax” doveva tornare a rappresentare il fulcro dell’autonomia fiscale dei comuni e della responsabilizzazione degli amministratori locali; come lo si possa fare esentando a priori quelli che votano, cioè i residenti, non si capisce. Chissà che avrebbe detto il Renzi sindaco delle proposte del Renzi presidente del Consiglio.
Meno tasse, ma le coperture?
Le altre proposte nel triennio – tagli a Irap e Ires e revisione della struttura delle aliquote Irpef – possono avere un senso, anche se bisognerà capire, al di là dagli annunci, cosa si vuol fare in concreto. In termini di priorità, se l’obiettivo è tagliare la pressione fiscale, era probabilmente più sensato intervenire sui contributi sociali. Anche perché bisognerà trovare il modo di accompagnare i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato verso una situazione a regime, e l’attuale totale cancellazione dei contributi sociali, prevista in fase di avvio, non è finanziariamente sostenibile nel lungo periodo.
Ma è anche vero che con la totale eliminazione del costo del lavoro dalla sua base imponibile, l’Irap è diventata un’imposta monca e che l’aliquota sull’Ires in una prospettiva internazionale è elevata.
Qui il problema sono le coperture, ovvero dove trovare i circa 45 miliardi necessari a regime secondo le anticipazioni della stampa. Anche prendendo per assodata la crescita nominale prevista dal governo per i prossimi anni, l’incremento automatico del gettito che questa comporta non è certamente sufficiente per finanziare gli interventi previsti, oltretutto dovendo garantire il rispetto degli impegni europei e la riduzione del debito pubblico.
I tagli alla spesa pubblica rappresentano l’ovvia risposta, ma anche qui bisognerebbe indicare dove e come.
La realtà è che, tolte le pensioni, si è già tagliato parecchio (LINK a BORDIGNON). E molti degli interventi già previsti con le leggi finanziarie del passato – dalla sanità agli enti locali, a cominciare dalle ex province e nuove città metropolitane – sono già in dubbio e probabilmente insostenibili. I contratti di lavoro del pubblico impiego dovranno essere rinnovati per decisione della Corte costituzionale e su altri comparti della spesa, come scuola e università, bisognerà spendere di più e non di meno.
È bene ricordare inoltre che il governo si è già impegnato a trovare risparmi di spesa per 10 miliardi entro il 2016 per eliminare le “clausole di salvaguardia” (aumenti automatici di Iva e accise sui carburanti) previste dalle leggi di stabilità degli ultimi anni. Nel triennio, fanno almeno altri 45 miliardi di interventi strutturali necessari, visto che circa 6 miliardi di risparmi per il 2016 derivano da calo di interessi e “voluntary disclosure” e non è detto che queste entrate saranno a disposizione negli anni successivi.
Un’altra possibilità è intervenire sul prelievo stesso, in particolare potando le numerose “tax expenditure” ancora presenti nel nostro sistema tributario. Per esempio, riportare all’aliquota standard dell’Iva molte delle transazioni soggette a aliquote agevolate avrebbe effetti benefici di gettito e probabilmente consentirebbe anche di eliminare molte forme di elusione fiscale che le aliquote agevolate consentono. Ma presentare questo tipo di interventi come una riduzione della pressione fiscale sarà difficile, anche per un politico mediaticamente abile come Matteo Renzi.
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