Il carattere profondamente europeo degli attentati di Bruxelles
di Dario Fabbri (Limes)
Gli attentati di Bruxelles riguardano profondamente l’Europa, nel cui cuore sono stati orditi e sul cui futuro potrebbero avere effetti molto rilevanti. Ideati da cittadini belgi, ancorché di origine araba, sono stati realizzati nella capitale di un frammentato Stato tribale collocato al centro del continente. Ed ora quanto accaduto potrebbe accelerare proprio la disintegrazione dell’Unione Europea.
Come dimostrato dagli attacchi di Parigi del 13 novembre scorso e dagli eventi brussellesi, la più pericolosa cellula jihadista attiva sul suolo europeo opera(va) in Belgio. Non è un caso. Il regno di Filippo è di fatto uno Stato fallito. Diviso tra due tribù, i valloni e i fiamminghi, che si detestano assai poco cordialmente, è composto da istituzioni separate che afferiscono esclusivamente ai rispettivi ceppi etnico-linguistici. Il governo federale ha poteri limitati e i cittadini fanno volentieri a meno della sua esistenza, come capitato tra il 2010 e il 2011 quando – nella totale indifferenza – il regno fissò il record mondiale di assenza di un esecutivo nazionale. La natura artificiale del Belgio e la sua connotazione clanica, assieme alle difficili condizioni economiche, rendono complessa l’assimilazione dei cittadini allogeni, specie quelli di religione musulmana. Come in Siria o in Iraq, la fragilità delle istituzioni favorisce la conquista del territorio da parte di gruppi anti-statali di matrice etnico-apocalittica. Così la tribù, che sia vallone o fiamminga, giacché si percepisce distinta dal contesto generale e non produce afflato universalista, è incapace di accogliere pienamente lo straniero.
Ironia della sorte, o semplice ingenuità, l’Unione Europea si è insediata in un paese tanto disfunzionale. Con il risultato che, in seguito agli attentati, il Belgio è assurto in queste ore a paradigma negativo della costruzione comunitaria. La cittadinanza europea dei terroristi e la cronica incapacità di prevenire gli attacchi hanno improvvisamente palesato l’assenza di coordinamento tra i governi del continente e l’inconsistenza del regno belga.
Mentre quanto accaduto pare destinato a disarticolare ulteriormente l’architettura comunitaria.
Piuttosto che condurre alla creazione di una federazione sovranazionale o di un apparato difensivo comune, come invocato in queste ore dai leader politici italiani, i fatti brussellesi potrebbero incentivare il recupero della sovranità da parte degli Stati membri. A partire dalla chiusura delle frontiere, con sospensione a fasi alterne del trattato di Schengen. Per proseguire con il possibile rifiuto avanzato dalle cancellerie continentali di concedere il visto ai cittadini turchi, capitolo integrante dell’accordo tra Bruxelles ed Ankara in tema di migranti. Per concludersi con il rafforzamento dei movimenti nazionalisti, oppure con l’adozione della loro agenda da parte dei principali partiti legati all’establishment. Con significative conseguenze (geo)politiche, in vista del referendum britannico del giugno prossimo sull’uscita dall’Unione Europea e delle elezioni presidenziali e politiche previste nel 2017 in Francia e Germania.
Sviluppi beffardi di un fenomeno che, eminentemente europeo, potrebbe innestare la definitiva implosione del progetto comunitario.
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