Come la Svizzera accolse l’ex ministro della propaganda di Mussolini
Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, esponenti dell'Italia fascista cercarono di entrare in Svizzera. Uno di loro è Dino Alfieri. Mise nei guai le autorità federali. Uno sguardo al passato.
Dino Alfieri, all’età di 57 anni, fugge in Svizzera nella notte del 23 ottobre 1943 vicino ad Astano nel Malcantone. Si presenta alla polizia di mattina presto. In realtà il caso è chiaro: Alfieri deve tornare in Italia. Alla base della decisione c’è la direttiva del 27 luglio 1943 con la quale Heinrich Rothmund, capo della divisione federale di polizia, chiarì subito dopo la caduta di Benito Mussolini che “gli uomini del regime fascista non sono degni del nostro asilo”, come scrisse al Consiglio federale il 5 novembre 1943. Ma non è tutto così semplice. Il caso Alfieri costringe il Ministero pubblico della Confederazione e infine anche il Consiglio federale a prendere posizione.
Dopo la caduta di Benito Mussolini gli uomini del regime fascista non sono degni dell’asilo elvetico
Dino Alfieri è un fascista della prima ora. Già nel 1922 è coinvolto nell’assalto al Municipio di Milano, e nel 1924 diventa deputato a Roma per il Partito Nazionale Fascista. Dal 1929 è il principale capo della propaganda fascista nel governo Mussolini. Come ministro partecipa alla stesura delle leggi razziali italiane. Nel 1940 è ambasciatore a Berlino. Dopo l’occupazione della Sicilia da parte delle truppe alleate nel luglio del 1943, gli eventi si susseguono velocemente: Mussolini viene deposto, anche con il voto di Alfieri. Quando la Wehrmacht occupa il nord Italia in autunno e ripristina un governo fascista, Alfieri teme per la sua vita e fugge. Anche se durante l’interrogatorio in Ticino sostiene di essere stato “fedele” a Mussolini. In attesa di una decisione nella Clinica Sant’Anna di Lugano, il suo caso apre nella Berna federale un dibattito fondamentale sulla questione dell’ammissione in Svizzera di gerarchi fascisti e dei loro parenti.
Argomentazione burocratica
Per Rothmund, Alfieri è un “tipico rifugiato politico”, come fa sapere al Consiglio federale. Ammette però che i fascisti rappresentano un sistema politico “completamente estraneo alla nostra concezione dello Stato”. Il popolo svizzero rifiuta un tale sistema, tanto più che la propaganda fascista non vede un posto per la Svizzera democratica nell’Europa del “nuovo ordine”. Il popolo non capirebbe se “tali personaggi” ottenessero l’asilo, scrive ancora Rothmund che teme che persone come Alfieri possano venire “molestate o addirittura minacciate” e aggiunge che non ha a disposizione forze sufficienti per proteggerle.
Rothmund continua coerentemente a sostenere questa argomentazione burocratica. È favorevole ad accettare i politici dei Paesi vicini se sono stati “benevoli” nei confronti della Svizzera. In linea di principio, questo vale anche per il “Duce”, come scrive in un memorandum del 5 luglio 1944. La questione dei crimini fascisti, come la sistematica persecuzione razzista e antisemita, è completamente ignorata da Rothmund, che nel 1938 a Berlino ha negoziato l’accordo sull’obbligo del visto per gli ebrei tedeschi. È Ernst Nobs, il primo socialista entrato nel Consiglio federale, che all’inizio del 1944 richiama l’attenzione del governo sugli sforzi degli Alleati per portare davanti alla giustizia i gerarchi delle potenze dell’Asse per i loro crimini politici e militari.
Il Consiglio federale decide di espellere Dino Alfieri ma interviene papa Pio XII
In definitiva, neanche Rothmund vuole accogliere Alfieri. Si informa a Roma e riferisce al Consiglio federale che l’ex ministro “non ha mai fatto qualcosa a favore della Svizzera”. Ora, però, non è lui il responsabile dei rifugiati politici, ma il Ministero pubblico della Confederazione, che da parte sua non vede alcun atteggiamento anti-svizzero imputabile ad Alfieri. Vuole dunque ascoltarlo, cosa che Rothmund considera una “perdita di tempo”: “Nessuno straniero ha il diritto all’asilo, e quindi non ci vuole neppure una giustificazione per rifiutarlo”, scrive il giurista del Consiglio federale nel verbale. Ma il Consiglio federale decide in tutta autonomia.
E Rothmund ha la meglio: Il Consiglio federale decide su richiesta del Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) di espellere Dino Alfieri. Poi arriva papa Pio XII: tramite il segretario di Stato vaticano cardinale Luigi Maglione, Pio XII chiede al governo svizzero di non rifiutare Alfieri. Anche l’intellettuale di destra Gonzague de Reynold lo difende. L’espulsione è sospesa per motivi umanitari, Alfieri è malato.
Critiche dal compagno Nobs
Il 10 gennaio 1944 Dino Alfieri viene condannato a morte in contumacia in un processo a Verona. L’ordine di espulsione è sospeso, Dino Alfieri per il momento può rimanere in Svizzera. Viene internato come civile con il nome di Francesco Bonomi. Sua moglie Carlotta e sua figlia Angela Maria entrano in Svizzera illegalmente e possono anche rimanervi. Suo figlio Silvio è stato accolto molto prima e internato militarmente.
Questa concessione a una famiglia fascista di primo piano infastidisce il consigliere federale Ernst Nobs. Critica anche l’accoglienza di Edda Ciano, all’epoca probabilmente la donna politicamente più influente in Europa. La figlia di Mussolini ha avuto un ruolo importante nei comitati fascisti. Suo marito è Gian Galeazzo Ciano, il ministro degli Esteri del governo fascista. Ciano viene giustiziato nel gennaio 1944, mentre Edda Ciano riesce a fuggire con i suoi figli in Svizzera. Sono ospitati dalle suore di Ingenbohl.
Ernst Nobs è preoccupato per l’opinione pubblica svizzera. Secondo lui, il Consiglio federale dà l’impressione di accogliere anche le persone accusate dei “crimini più gravi e disumani” e di offrire loro protezione sia dalle persecuzioni del loro nuovo governo che dai tribunali alleati. Secondo Nobs, accogliere Alfieri e Ciano non è nell’interesse della Confederazione e danneggia la sua reputazione. Nobs chiede una dichiarazione pubblica del Consiglio federale con la quale prenda in considerazione l’estradizione di persone “coinvolte nel conflitto mondiale”. Il Dipartimento federale di giustizia e polizia redige subito delle linee guida adeguate. Il Consiglio federale decide tuttavia, in linea di principio, di consegnare i sospetti criminali di guerra allo Stato che li persegue solo in un secondo tempo, in risposta a un procedimento giudiziario in Europa.
Concentrati sulle potenze dell’Asse
Questa reticenza è incomprensibile alla luce dei crimini di guerra commessi in nome del fascismo e del nazionalsocialismo. In particolare, Heinrich Rothmund è stato informato tempestivamente dell’espulsione sistematica degli ebrei dalla Germania e dello sterminio della popolazione ebraica nei paesi occupati dai nazisti. Il Ministero pubblico della Confederazione, i servizi segreti militari e, in ultima analisi, anche il Consiglio federale sono a conoscenza della situazione almeno dal 1943. Gli Stati Uniti avvertono ripetutamente le potenze dell’Asse che questi crimini non sarebbero rimasti impuniti. In Svizzera questo approccio degli Alleati per molto tempo non viene considerato. La Confederazione resta concentrata sulle potenze dell’Asse che la circondano, sebbene i successi bellici delle truppe alleate a partire dalla fine del 1943 aprano un nuovo orizzonte per il futuro. Il 1944, al più tardi dall’estate dopo lo sbarco alleato in Normandia, la Svizzera dovrebbe prepararsi al dopoguerra.
La Confederazione però esita. Un ruolo importante lo svolge la politica interna. Nell’autunno del 1943 i socialdemocratici vincono le elezioni del Consiglio nazionale e a dicembre, 25 anni dopo lo sciopero nazionale, entrano in governo. L’elezione di Ernst Nobs in Consiglio federale è una mossa intelligente dell’élite borghese: responsabilizza i socialdemocratici e apre e stabilizza al tempo stesso il sistema politico. La nuova prospettiva libera la Svizzera dall’atteggiamento difensivista tenuto durante la guerra. Tuttavia, il Consiglio federale, a differenza della popolazione, reagisce con riserva alla fine della guerra dell’8 maggio 1945.
Negli anni Cinquanta, Alfieri fa brevemente parlare di sé per aver promosso la restaurazione della monarchia in Italia
Che ne è di Edda Ciano e Dino Alfieri? Edda Ciano viene consegnata alle autorità di occupazione alleate in Italia nell’agosto 1945. Internata sull’isola di Lipari, nel dicembre 1945 è condannata a due anni di carcere per aver sostenuto il fascismo. Dalla sua liberazione anticipata, nel luglio 1946, vive principalmente a Roma e nella sua villa di Capri. Muore nel 1995.
Dino Alfieri rimane in Svizzera per un periodo più lungo. Il 22 agosto 1945, il suo avvocato presenta nuovamente una domanda di asilo, che è nuovamente respinta. Quando in un nuovo processo un tribunale italiano lo assolve il 12 novembre 1946, il Consiglio federale si pronuncia ancora una volta a favore dell’espulsione. Tuttavia, l’eminente rifugiato è di nuovo autorizzato a rimanere per motivi umanitari e torna a Milano solo nel 1948, dove esercita l’avvocatura. Negli anni Cinquanta, fa brevemente parlare di sé per aver promosso la restaurazione della monarchia in Italia. Il Re non torna. Dino Alfieri muore a Milano nel 1966.
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