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Il voto di Berlino preannuncia la destabilizzazione della Germania

Il magnete tedesco Limes

di Dario Fabbri (Limes)

Il risultato elettorale registrato a Berlino, unito a quanto accaduto nelle precedenti elezioni nel Meclemburgo-Pomerania Anteriore, ci consegna una Germania sull’orlo della destabilizzazione. Dove i due partiti d’establishment potrebbero mancare anche congiuntamente dei numeri per governare e dove numerosi soggetti politici alternativi si mostrano in formidabile ascesa, soprattutto a causa della fragilità del modello tedesco. Con conseguenze potenzialmente straordinarie per il resto d’Europa.

Domenica scorsa nelle elezioni per la città di Berlino i socialdemocratici si sono aggiudicati il 21,6% dei voti; i cristiano-democratici il 17,6%; il partito di sinistra Die Linke il 15,6%; i verdi il 15,2%; e l’estrema destra di Alternativa per la Germania il 14,2%. Congiuntura semi-paludosa, in cui i due partiti al governo del paese non raggiungono la maggioranza assoluta, se non con il supporto dei verdi, e in cui soggetti estranei al mainstream raccolgono quasi un terzo delle preferenze. Se lo schema si ripetesse in forma identica a livello nazionale, nell’autunno del 2017 la più importante nazione d’Europa potrebbe scoprirsi ingovernabile.

Specie se l’economia continuasse a peggiorare. Dipendente dalle esportazioni per quasi il 50% del proprio pil, la Germania subisce grandemente la riduzione dell’import altrui. Soprattutto degli altri paesi europei (alcuni in conclamato declino), degli Stati Uniti (diretti verso una ciclica recessione) e della Cina (da tempo alle prese con difficoltà di matrice strutturale). Tra un anno gli elettori tedeschi potrebbero giungere alle urne turbati dalla crisi economica e, soltanto in seconda battuta, dall’assimilazione dei migranti.

Il prepotente emergere di partiti anti-sistema, sia di destra che di sinistra, segnala l’erronea attribuzione della sconfitta elettorale subita dalla Merkel alla sua apertura nei confronti degli immigrati. Da un lato Die Linke reclama la fine dell’austerity, nella convinzione che la rigidità fiscale abbia nuociuto all’economia nazionale e (inconsapevolmente) al mantenimento della sfera di influenza teutonica. Dall’altro Alternativa per la Germania invoca un ritorno alla piena sovranità, respingendo l’approccio tedesco al processo decisionale europeo, a metà tra l’imposizione della propria volontà e l’accettazione del negoziato. L’incapacità di distillare una dottrina eminentemente imperiale e l’altrettanta impraticabilità di una deriva semi-isolazionistica, hanno innescato l’attuale movimento di protesta nei confronti di cristiano-democratici e socialdemocratici. Impossibile per il governo federale rivendicare l’austerity e poi intervenire, come prevede la grammatica geopolitica, per salvare le economie degli Stati europei che incidono sull’export tedesco. Di fatto Berlino si trova perennemente all’impasse.

Nel prossimo futuro tale incongruenza, difficilmente correggibile nel breve periodo, potrebbe impedire ai due principali partiti di governare in solitaria e condannare la Germania ad una assai mediterranea instabilità. Influendo negativamente sul disfunzionale perno dello spazio europeo.

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