In Siria americani e russi si preparano al negoziato, ma resta da sciogliere il nodo dello Stato Islamico
di Dario Fabbri (Limes)
L’intervento russo in Siria, cui potrebbe far seguito un rafforzamento dei ribelli sunniti da parte degli americani, dovrebbe condurre ad una cristallizzazione delle posizioni sul terreno e all’inizio di un negoziato. Con grande scorno di turchi e sauditi. Se non fosse che, per rendere realmente attuabile la trattiva, resta da sconfiggere lo Stato islamico.
Preoccupato dall’imminente crollo del fronte alauita e intenzionato a preservare la propria sfera d’influenza mediorientale, agli inizi di settembre Vladimir Putin ha deciso di intervenire militarmente in Siria anzitutto per puntellare il regime di al-Asad e mantenere la base navale russa di Tartus. Quindi per espandere il proprio margine di manovra in merito al dossier siriano e a quello ucraino, nel cui ambito il Cremlino spera di ottenere dagli Stati Uniti notevoli concessioni. Così il 30 settembre l’aeronautica di Mosca ha cominciato a bombardare, piuttosto che i miliziani del califfato, soprattutto le postazioni del cosiddetto Esercito della Conquista, una coalizione islamista che comprende il gruppo qaedista di al-Nusra e altre fazioni secolari vicine ad Ankara e Washington. In particolare i raid russi hanno colpito la zona a nord di Homs, la piana di al-Ghab e la regione a nord-ovest di Hama, oltre che le adiacenze della base aerea di Kweiris dove da mesi sono assediati i militari baathisti.
Proprio in questi territori nei prossimi giorni potrebbe avere luogo l’offensiva di terra cui prenderanno parte, oltre alle sfiancate truppe di Damasco, soldati iraniani, miliziani di Hezbollah e forze speciali russe. Uno sviluppo che dovrebbe consentire ai lealisti di tirare un respiro di sollievo e che potrebbe costringere sulla difensiva gli insorti. Per questo monarchie del golfo e Stati Uniti stanno ora preparando, specie attraverso la consegna di nuovi armamenti, i ribelli a resistere all’urto. Mentre i miliziani curdi si industriano per mantenere semi-indipendente la loro regione di appartenenza.
Ne dovrebbe derivare una situazione di stallo in cui le parti in guerra si apprestano ad un futuro negoziato. Del resto è questa la posizione di Russia, Iran e Stati Uniti, che concordano sulla necessità di un cambio di regime che garantisca allo stesso tempo la sopravvivenza del clan alauita e maggiore rappresentatività per sunniti e curdi. Obama ha perfino accettato che al-Asad resti in sella nella prima fase della transizione. Ne uscirebbero penalizzati soprattutto sauditi e turchi, giacché da tempo entrambe le potenze cercano rispettivamente di minare la sfera di influenza iraniana e di inglobare la Siria nella propria. Riad è contraria a qualsiasi apertura nei confronti del nemico persiano, storico patron di al-Asad, e Ankara vuol partire proprio da Damasco per realizzare il suo revanscista progetto neo-ottomano. Tuttavia resta assai complicato individuare chi debba combattere da terra lo Stato Islamico. Le cosmetiche campagne aeree russe ed americane, per tacere di quella turca, non sconfiggeranno l’internazionale jihadista. Né potranno sbaragliare il nemico i curdi dell’Unità di Protezione Popolare. Con permanente compromissione dell’integrità territoriale siriana.
Un’incognita potenzialmente in grado di sabotare un negoziato che, grazie all’intervento russo e alla risposta dei ribelli, presto potrebbe invece apparire praticabile.
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