L'entrata in magistratura, la lotta alla cultura e al crimine mafiosi, i sacrifici e il sostegno della famiglia, le amicizie. Intervista del 1987.
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tvsvizzera.it/ri con RSI (Teche)
Il 19 luglio di 25 anni fa moriva assassinato, insieme a cinque agenti della sua scorta in un agguato a Palermo, Paolo Borsellino, uno dei personaggi chiave della lotta alla mafia.
Il primo grado del ‘maxiprocesso’
Il magistrato aveva condotto –insieme al giudice Giovanni Falcone- l’istruttoria del cosiddetto maxiprocesso di Palermo e redatto gli atti di rinvio a giudizio di 476 imputati.
Celebrato in un’aula bunker, costruita appositamente per ospitare in sicurezza un dibattimento penale di dimensioni mai viste, il processo portò alla condanna, tra gli altri, dei mandanti dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
‘Cento giorni a Palermo’
Al generale è dedicato un film, ‘Cento giorni a Palermo’ di Giuseppe Ferrara, che la TSI trasmise il 16 aprile del 1987, invitando in studio a discuterne il figlio di Dalla Chiesa, Nando, e il giudice del noto ‘pool antimafia’ Paolo Borsellino.
In questo estratto , guidato dalle domande di Gianni Delli Ponti e Cesare Chiericati, Borsellino traccia un ritratto di sé.
Dalla scelta di entrare in magistratura (“perché amavo gli studi giuridici”) a un lavoro ben diverso da come l’aveva immaginato.
Dalla cultura della mafia in Sicilia (“si oscillava tra l’idea che non esistesse, e quella che tutto sommato potesse dare condizioni di sicurezza e crescita economica che lo stato non riusciva a garantire”) alla famiglia, alla quale dedicava il poco tempo residuo ma che non ha mai smesso di credere nel suo lavoro.
L’amicizia, la loro forza
Borsellino parla inoltre di vulnerabilità, dovuta non solo al rischio della vita, ma anche alle aspettative di cui era caricato il lavoro della magistratura: “il momento giudiziario è soltanto un momento della lotta alla mafia”, sottolinea; la criminalità va combattuta in modo concertato da tutti gli organi dello Stato.
Infine, c’è l’amicizia. Con Giovanni Falcone, nato nel suo stesso quartiere a Palermo, e gli altri magistrati antimafia. Erano affiatati già prima di costituire il pool, ed è anche a questo -rivela il giudice- che si devono i risultati raggiunti.
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