Italia e terrorismo:tante ipotesi, nessuna certezza
Ma come mai il terrorismo che sostiene di uccidere in nome dell'Islam non ha ancora colpito in Italia? Eppure tutti ricordano che uno dei primi minacciosi proclami-video di Daesh, lo Stato islamico, fu proprio la minaccia di arrivare a Roma, con tanto di foto di Piazza San Pietro (per loro, simbolo dei "nuovi crociati"), e la bandiera nera issata sul cupolone. Quell'interrogativo si ripropone ora che per la prima volta il terrore è entrato nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, nel nord della Francia. Una terribile "prima" europea, che, a proposito e a sproposito, fa scorrere fiumi di inchiostro su quella "guerra di religione" che proprio il rappresentante del cattolicesimo, papa Francesco, ha subito escluso.
Per saggezza o scaramanzia, e comunque nella consapevolezza che il “rischio zero” non esiste, la grande stampa della Penisola non si è persa dietro questo interrogativo. Ma fra i cittadini la domanda viene spesso discussa. Parlandone con conoscenti italiani (non quelli che tacciono, alzando lo sguardo al cielo o limitandosi a fare eloquenti e silenziosi scongiuri) le risposte sono divise nettamente in due: per gli uni “non hanno bisogno di farlo perché tanto da noi fanno già quello che vogliono”; per gli altri “non ci sono ancora riusciti perché abbiamo uno dei migliori servizi di sicurezza del mondo”.
E’ vero che rispetto al mondo arabo-islamico, la politica di Roma si è sempre mossa sotto-traccia con una certa abilità e con sicura spregiudicatezza. Soprattutto Giulio Andreotti venne indicato come il regista occulto (insieme all’allora capo dello spionaggio Giovannone) di accordi sottobanco con i palestinesi di Arafat per proteggere il territorio della Penisola da attacchi terroristici. E quando il patto saltò provvisoriamente, per esempio con la strage di Fiumicino nel 1985, i responsabili vennero indicati nell’ala estremista di Abu Nidal (come mi ripeté, pochi giorni dopo a Tunisi, lo stesso Arafat).
C’è chi teorizza dunque che quel’ “attività sotterranea” sia continuata negli anni e dia tuttora dei frutti. Ma lo Stato islamico è altra cosa. Non che sia assolutamente impermeabile alla trattativa, e il caso della Turchia di Erdogan lo conferma. Ma un’Italia che ha promesso di voler avere il comando delle eventuali operazioni di peace-keeping in Libia (nuovo terreno di caccia dei jihaddisti) e che, soprattutto, ha deciso di inviare centinaia di militari a proteggere la diga di Mosul (a pochi chilometri dalla capitale irachena dell’Isis) oggi non sembra ben posizionata per intese segrete col Califfato.
Qualche analista ha provato a elaborare un decalogo dei emotivi sull’ipotesi assai fragile del presunto “santuario” italiano. Un’immigrazione islamica maggiormente distribuita sul territorio; l’assenza di veri e propri agglomerati-ghetti come in Francia e in Belgio; un “contesto”, come si legge nell’ultima relazione al parlamento dei ‘servizi’), forse meno problematico (famiglia, gruppi di amici, luoghi di aggregazione). Addirittura, c’è anche chi ha bizzarramente teorizzato che, contrariamente a quanto avvenne negli “anni di piombo”, al Sud è la presenza della Mafia ad avere un ruolo “preventivo”.
Solo ipotesi, tante ipotesi. Le cronache del terrorismo in Europa, ci insegnano del resto che – fra azioni attentamente pianificate, attentati etero-diretti, e ‘lupi solitari’ – di certezze non ve ne sono. Ed è l’altra arma della strategia della paura.
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