L’ascesa del populismo tedesco e il difficile mestiere della Merkel
di Dario Fabbri, Limes
La sconfitta subita alle elezioni regionali di domenica scorsa complicherà ulteriormente il delicatissimo mestiere di Angela Merkel. Ovvero bilanciare le necessità demografiche della Germania con l’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti dei migranti; oltre che contemporaneamente rallentare il flusso dei rifugiati che sta determinando la disintegrazione europea senza tramutare Grecia e Italia in immensi campi profughi. Temendo, nel frattempo, l’emergere in patria di un avversario potenzialmente in grado di scalzarla dalla cancelleria.
In ribasso a livello nazionale e con un numero di voti inferiore all’ultima consultazione, il 13 marzo i cristiano-democratici hanno mantenuto la guida del land orientale della Sassonia-Anhalt, uno dei tre in cui si votava. Mentre i socialdemocratici, partner di governo della Merkel, hanno vinto in Renania-Palatinato e i verdi nel Baden-Württemberg.
Soprattutto il voto regionale ha registrato la dirompente ascesa dei nazionalisti-populisti di Alternative für Deutschland (Afd), capaci di cavalcare il malumore dell’opinione pubblica per l’accoglienza garantita da Berlino nel 2015 ad oltre un milione di rifugiati. Nello specifico, il partito guidato da Frauke Petry ha ottenuto il 12.5% in Renania-Palatinato, il 15% nel Baden-Württemberg e il 24% in Sassonia-Anhalt, il più straordinario risultato centrato in Germania da un movimento populista dalla seconda guerra mondiale.
Sebbene non ancora decisiva su scala nazionale, l’affermazione di Alternative für Deutschland palesa la crescente insoddisfazione dei tedeschi e la complicata posizione della Merkel. Intenzionata a garantire il futuro mantenimento del welfare teutonico attraverso il surplus commerciale e l’assimilazione degli immigrati, la cancelliera vuole continuare ad accogliere rifugiati e migranti. Ma è consapevole di dover placare l’ira degli elettori tedeschi che mediamente si oppongono alla sua svolta e di molti Stati membri dell’Unione Europea che sfruttano il dossier migranti per realizzare la frammentazione dello spazio comunitario. Così, pur mantenendo i confini nazionali (parzialmente) aperti, da mesi la Merkel sta cercando di negoziare con la Turchia una diminuzione del flusso dei migranti, che le consenta di gestire meglio l’emergenza. Allo stesso tempo, pur apprezzando l’attuale chiusura della rotta balcanica che soddisfa i paesi dell’Europa centro-orientale, Berlino teme il cortocircuito che può derivare dalla trasformazione di Grecia e Italia in immensi campi d’accoglienza. Con effetti imprevedibili sulla struttura dell’Unione Europa e sulla salute dell’economia tedesca, che in territorio comunitario esporta il 47% del suo pil.
Acrobazie e piroette che la cancelliera compie lottando contro il tempo. Giacché potrebbe presto germinare in seno alla Cdu o altrove una figura politica in grado di proporsi quale alternativa populista e nazionalista alla sua leadership. In vista delle elezioni generali del 2017, crocevia decisivo per il futuro politico ed economico della Germania.
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