La brexit e le elezioni presidenziali austriache
di Dario Fabbri
La clamorosa ripetizione delle elezioni presidenziali austriache costituirà il primo banco di prova per l’Europa post-brexit. Il 2 ottobre gli elettori transalpini, nuovamente chiamati a scegliere tra due candidati antitetici in materia di integrazione comunitaria, forniranno la prima indicazione politica dell’effetto che la secessione britannica sta avendo sul resto del continente. E sul ballottaggio influiranno inevitabilmente proprio le condizioni economiche in cui verserà il Regno Unito.
Il primo luglio la corte costituzionale austriaca ha ufficialmente certificato le numerose irregolarità commesse nel conteggio dei voti in occasione delle presidenziali dello scorso 22 maggio. Le violazioni riguardano 94 distretti elettorali su 117 ed hanno inciso su quasi 78mila voti, più del doppio dei 30.863 con cui il verde europeista Alexander Van der Bellen ha battuto lo sfidante Norbert Hofer, esponente euroscettico del populista Partito della Libertà (FPÖ). Proprio il FPÖ aveva presentato istanza di ricorso, accolta appena 7 giorni prima dell’insediamento ufficiale di Van der Bellen. Benché il presidente della repubblica austriaca sia una carica soprattutto cerimoniale, viste le contrapposte posizioni degli sfidanti in merito all’integrazione comunitaria, il ballottaggio del 2 ottobre pare destinato a tramutarsi in una consultazione informale sul futuro dell’Unione Europea. In particolare Hofer ha annunciato in un’intervista al Corriere della Sera che «in caso di ulteriore riduzione della sovranità degli Stati membri, Vienna è pronta a celebrare un referendum simile alla brexit». In realtà, qualora fosse eletto presidente, Hofer non disporrebbe dei poteri necessari ad indire un tale referendum e stando ai sondaggi la maggioranza degli austriaci preferirebbe rimanere nell’Ue, ma nel medio periodo la situazione potrebbe modificarsi considerevolmente. Molto dipenderà dagli effetti che entro l’autunno la brexit avrà avuto sull’economia britannica e sulla percezione che gli austriaci avranno della perdurante crisi dei migranti.
Il voto d’Oltremanica ha definitivamente squarciato l’aura di inevitabilità dell’architettura comunitaria e qualora crescita e tasso di disoccupazione britannici non subissero significative variazioni, è possibile che ad ottobre i cittadini austriaci scelgano Hofer. Peraltro il candidato populista è impegnato in queste ore a rilanciare la sfida sulla falsariga del voto inglese, ovvero establishment contro cittadini comuni. Con le violazioni procedurali delle ultime presidenziali a palesare le falle di un sistema profondamente corrotto. E poco conta se a commettere le infrazioni sono stati anche funzionari vicini al FPÖ. Come dimostrato da quanto accaduto nel Regno Unito, le masse europee considerano le élites, incarnate dai partiti tradizionali e dai burocrati brussellesi, estranee ed indifferenti alla loro condizione sociale ed economica. Nella loro interpretazione della realtà, il recupero delle prerogative nazionale servirebbe a stemperare gli effetti collaterali della globalizzazione e ad interrompere i flussi migratori. Specie se la Gran Bretagna supererà positivamente l’attuale fase di transizione.
Aspirazioni legittime e miti inconsistenti che informeranno il voto austriaco. E che nei prossimi anni potrebbero determinare il futuro della costruzione europea.
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