La strage di Orlando e il parziale melting pot americano
di Dario Fabbri (Limes)
Piuttosto che avere conseguenze sulla politica estera statunitense, la strage di Orlando è destinata a rafforzare coloro che ritengono alcune popolazioni e religioni incompatibili con la società statunitense. Anche se fossero dimostrati legami diretti tra lo Stato Islamico e l’attentatore Omar Mateen, l’attuale approccio della superpotenza alla guerra contro il terrorismo non cambierà. Mentre la natura endogena dell’evento, unita alle origini asiatiche di Mateen, potrebbe ulteriormente convincere l’opinione pubblica e i decisori americani dell’impossibilità di assimilare i cittadini di religione islamica.
Al contrario dell’Europa, gli Stati Uniti hanno sempre rifiutato il multiculturalismo. Oltreoceano integrare significa spogliare lo straniero della sua diversità per renderlo americano. La predisposizione tutta europea a creare ghetti, in nome di un posticcio rispetto per l’identità altrui, è aliena alla società Usa. Di qui il corollario per cui non tutti i gruppi etnici sarebbero integrabili allo stesso modo. Così negli anni – in accordo con lo zeitgeist – alcuni immigrati sono stati ritenuti più o meno compatibili con lo spirito americano, con annesse limitazioni a stabilirsi nel paese. In una prima fase gli irlandesi, poi gli europei meridionali (italiani in testa), quindi gli ispanici. Pregiudizio che tuttora riguarda i cittadini di origine mediorientale e di religione musulmana, per i quali è alquanto complesso trasferirsi negli Stati Uniti. Come dimostrato dalle dichiarazioni del candidato repubblicano Donald Trump che, lungi dall’essere sortite estemporanee, semplicemente riflettono il sentire della pancia del paese. Secondo una stima del Pew Forum, negli Stati Uniti vivono appena 3,3 milioni di musulmani, su una popolazione di circa 320 milioni, pari all’1% del totale. Peraltro il 25% è costituito da afro-americani convertiti all’Islam.
Ora quanto accaduto ad Orlando conferirà ulteriore legittimità alla natura ad excludendum della società statunitense. Anche perché quella di domenica è una delle numerose azioni terroristiche realizzate negli ultimi anni da cittadini americani di religione musulmana. Dall’attentato nella base militare di Fort Hood nel 2009, a quello alla maratona di Boston nel 2013, fino alla strage di San Bernardino dello scorso dicembre. L’amministrazione Usa non ritiene lo Stato Islamico una minaccia strategica e non ha alcuna intenzione di sfruttare gli ipotetici contatti tra Mateen e l’internazionale jihadista per intervenire massicciamente in Medio Oriente. Ma la carneficina di Orlando rischia di serrare le frontiere per i musulmani che vorrebbero emigrare in America. Non per volontà del possibile presidente Trump (aldilà dei proclami, la Casa Bianca non dispone di reali poteri in materia). Quanto per l’ostilità dello heartland statunitense e per la capacità delle superpotenza di supplire al mancato arrivo di africani e mediorientali attraverso l’assimilazione di milioni di immigrati ispanici.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.