Le donne di Grillo che “rottamano” il PD
"Non è un voto sul governo". Era stato il mantra pre-elettorale di Matteo Renzi. Ma per il premier sarà difficile eludere il significato politico nazionale del terremoto che scuote il Pd (in alcuni casi ridotto in macerie) e il suo segretario. Roma e Torino sono i simboli di questa débâcle, e specularmente dello spettacolare successo del Movimento Cinque Stelle.
Qualcosa di assolutamente inimmaginabile ancora pochi anni fa. E se nella “città eterna” colpiscono i numeri del trionfo pentastellato (con la prima donna sindaco nella storia della capitale, Virginia Raggi), è nel capoluogo piemontese che l’imprevisto e netto successo di Chiara Appendino assume una valenza particolare: la “Stalingrado” del Nord, da oltre un ventennio governata ininterrottamente dalla sinistra, e con un Fassino da tutti gli osservatori considerato un buon amministratore, cade facilmente nelle giovani mani di una sconosciuta.
In entrambi i casi, uno sconvolgimento provocato dallo scontento popolare e da periferie schierate contro lo squalificato centro del potere, ma anche e soprattutto dal sostegno massiccio che gli elettori del centro destra (seguendo il consiglio di alcuni suoi leader) hanno portato ai candidati del comico genovese, pur di punire il partito democratico e ancor più Matteo Renzi. “Sconfitta inequivocabile”, deve ammettere lo stesso capo del governo. Che non può certo consolarsi con il successo a Milano del più renziano dei candidati: Giuseppe Sala, l’ex mister Expo che a Milano ha battuto il berlusconiano Parisi; o con la conferma di Merola a Bologna; oppure con il centro-sinistra che strappa Varese alla Lega Nord, la sua “capitale storica”. Tanto più che a Napoli -dove il Pd è praticamente azzerato- si conferma con numeri astronomici un altro nemico giurato del premier, l’ex magistrato De Magistris.
“E’ solo l’inizio”, assicura Grillo. In realtà, l’inizio di molte cose. Della verifica sulla effettiva capacità grillina di amministrare grandi centri, e in particolare Roma, da tutti considerata ingovernabile, ma che potrebbe aprire ai Cinque Stelle la strada verso Palazzo Chigi. L’inizio, anche, del confronto decisivo per la leadership del centro-destra, che vince se unito e cementato da un moderato (come dimostra il buon risultato di Milano), e bisognerà dunque vedere se il “lepenista” Salvini, con Berlusconi dato ormai fuori gioco, si rassegnerà a questo verdetto e farà un passo indietro. O almeno di lato.
E, soprattutto, si dovrà vedere come Renzi reagirà allo schiaffo. Ha già fatto capire, il premier-segretario, di voler “rottamare ancora di più”, preannunciando così un inasprimento dello scontro interno con la minoranza. Bisognerà vedere come arriverà al referendum costituzionale di ottobre (la riforma del Senato), che ritiene decisiva per il suo destino politico. E non può non pensare a quanto il voto di ieri pesi sulla sua riforma elettorale: anche per il rinnovo del parlamento si va infatti al doppio turno, che, a giudicare dall’esito delle amministrative, per il momento avvantaggia nettamente il Movimento di Grillo.
La decisione di personalizzare la battaglia rischia dunque di trasformarsi in un boomerang per un Renzi che appena due anni fa aveva conquistato il 40 per cento dei suffragi alle europee. Non gli sarà facile risalire la china della popolarità. Soprattutto se verrà tradito anche da una “ripresina” economica troppo anemica per prosciugare la protesta rabbiosa degli italiani contro i palazzi del potere. Italiani che, pur di “punire” gli schieramenti tradizionali, possono anche affidarsi alle incognite di un destino pentastellato.
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