Letta: un’assenza assai poco misteriosa
di Aldo Sofia
Oggi a Berna, lui non ci sarà. “Lui” è Enrico Letta, il premier italiano che annunciando la sua presenza aveva tacitamente promesso di trasformare il secondo Forum di dialogo Italia-Svizzera in uno snodo promettente, se non risolutivo, del contenzioso fiscale fra i due Paesi.
Un paio di settimane fa, la doccia fredda, anzi gelata: il capo del governo italiano rinuncia alla trasferta nella Confederazione. Comprensibile, possono pensare in molti. Come può lasciare anche solo per poche ore Palazzo Chigi mentre la politica italiana attraversa nuove turbolenze, mentre l’accordo Berlusconi-Renzi sulla riforma elettorale mette ancora più a rischio la tenuta del suo fragile governo, e mentre il frenetico sindaco di Firenze si muove come se si fosse già istallato sulla poltrona di primo ministro? Già per tutto questo si potrebbe capire la ritrosia del premier a prendersi una boccata d’aria fine all’ombra delle Alpi.
Non sarà il messia
Ma nel mancato viaggio c’è di più. E di più serio. Nei giorni successivi all’annuncio della rinuncia, s’é capito che Letta non sarebbe stato il “messia della buona novella”. Nel senso che l’accordo italo-svizzero, inseguito ormai da anni, non era né pronto, né vicino, né sicuro.
Per tentare di far riemergere e rientrare una parte sostanziosa dei capitali italiani nascosti all’estero, e soprattutto nella Confederazione (si stima che possano essere 150 miliardi di euro), Roma ha cambiato strategia: punta sulla “voluntary disclosure”, in sostanza l’autodenuncia da parte dei detentori di capitali non dichiarati, come avvenuto negli Stati Uniti e in alcune nazioni europee. Il prezzo del “pentimento”? Pagamento dell’intera parte evasa, supplementare sanzione di almeno il 15 per cento, e perdita dell’anonimato; in cambio di una regolarizzazione e della fine del reato di natura penale.
Molto scettica la piazza finanziaria elvetica sulla predisposizione degli evasori italiani all’autodenuncia. Ma ciò non toglie: avendo scelto la “voluntary disclosure” per quale motivo l’Italia dovrebbe essere ancora interessata al “modello Rubik” perseguito da Berna?
I paletti e le montagne
Sembrerebbero dunque montagne invalicabili i “paletti” italiani, ribaditi al Forum di Davos dal ministro delle finanze Saccomanni: fine dell’anonimato e scambio automatico di informazioni. Forse un’intesa, ma di profilo più basso, potrebbe ancora scaturire dalla forza di una doppia necessità: per la Svizzera, che cerca di bloccare un’emorragia di capitali esteri verso lontani “paradisi” ; e per l’Italia, comunque bisognosa di “rimpatrii sicuri” da destinare alle vuote casse dello Stato.
Comunque, senza l’ombra di un accordo rimangono in alto mare anche tutti gli altri capitoli del dossier italo-svizzero, dai frontalieri alla black list. Che rischiano anzi di surriscaldarsi. Come conferma la decisione di tutti i partiti ticinesi, che due giorni fa hanno chiesto a Berna di annullare subito l’accordo sul ristorno delle tasse dei frontalieri. Cosa poteva dunque portare Letta a Berna? Sorrisi e incoraggiamenti? Troppo poco, visto oltretutto che i suoi giorni da premier potrebbero anche non essere moltissimi.
Aldo Sofia
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