Lezione da Atene: questa Europa è troppo fragile
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L’Europa al bivio
Con la vittoria di Syriza si è aperto il fronte della rinegoziazione degli accordi stipulati con la Troika a seguito del fallimento della Grecia del 2010. Molti opinionisti e politici italiani (sia di destra che di sinistra) simpatizzano con Tsipras e ritengono che la sua vittoria possa portare buoni frutti anche per noi. Si tratta, tuttavia, di una strategia piena di rischi. In realtà la vittoria di Syriza è, piuttosto, una cattiva notizia, che fornisce un’ulteriore prova della fragilità del sistema federale europeo. Provo ad argomentare questa tesi nei seguenti quattro punti.
1. Il bail-out della Grecia avvenuto nel 2010 costituisce un precedente fondamentale per capire come funziona il sistema monetario e, più in generale, il nostro modello federale. In un sistema del genere le decisioni fiscali sono decentrate e, quindi, il costo del debito degli stati membri riflette rischi locali. Se le istituzioni centrali dichiarassero che nessuno stato può mai fallire, si determinerebbe un gigantesco problema di rischio morale (assenza di incentivi a controllare i conti pubblici) a cui la federazione non potrebbe sopravvivere. Se, d’altra parte, le garanzie sui debiti statali sono incomplete, si deve accettare che i debiti sovrani non si scambino alla pari, e che gli stati possano fallire. Il sistema monetario europeo si colloca in questo incerto crinale, in cui le garanzie europee esistono ma sono implicite e incomplete. È un problema che interessa molto l’Italia, data la dimensione del nostro debito e l’onere per interessi che grava sulle casse dello stato. Gli investitori vorrebbero capire: l’Europa lascerebbe fallire uno stato? E cosa farebbe in questo caso? In termini generali, un fallimento non è necessariamente un disastro se i costi che ne derivano possono essere contenuti. Gli Stati Uniti sono un esempio ambiguo. Il governo federale americano decise per il bail-out degli stati a fine Settecento ma li lasciò fallire a metà Ottocento senza eccessivi contraccolpi.
2. Il caso della Grecia è il primo esempio di fallimento coordinato nell’Eurozona. Le istituzioni internazionali hanno imposto un haircut del 50 per cento sul debito nei confronti dei privati, un allungamento delle scadenze e l’assorbimento della quasi totalità del debito presso il Fmi e il Fondo salva stati a tassi di estremo favore, condizionatamente all’adozione di misure di consolidamento fiscale. Il successo di questo esperimento dipende da due condizioni: che il governo greco rispetti gli impegni e che il programma di consolidamento non sia talmente oneroso da portare il paese a una nuova bancarotta. Se non si realizza la prima condizione abbiamo la dimostrazione “sul campo” che un bail-out compatibile con l’assenza di un rischio morale eccessivo è impossibile e, quindi, che l’Europa si trova di fronte a un bivio: convivere con il rischio morale o lasciare che gli interessi sui debiti sovrani riflettano interamente i rischi degli stati membri. Nel primo caso avremo, prima o poi, la dissoluzione dell’Unione, e nel secondo caso saremo continuamente soggetti a ondate speculative sui debiti sovrani.
3. Chi simpatizza con il programma di Syriza sostiene che gli accordi con la Troika non siano sostenibili per la Grecia. Il debito greco è, in effetti, molto elevato, ma se i creditori si limitassero ad accettare un contenimento del debito esistente, un’altra ristrutturazione non avrebbe alcuna giustificazione. Non è, infatti, il debito che frena la crescita di quel paese. Il bail-out del 2010 (e 2012) ha posto i titoli pubblici greci al riparo dalla speculazione e ridotto drasticamente il costo degli interessi che, secondo stime recenti, rappresenta un conto meno salato di quello pagato dal governo italiano, spagnolo e portoghese. Un’altra ristrutturazione del debito non equivale ad un classico problema di ridistribuzione delle risorse tra debitori e creditori, come si sente spesso dire in questi giorni. Il conto sarebbe pagato anche da paesi già fortemente indebitati (come l’Italia, la Spagna e il Portogallo) che stanno facendo rilevanti sacrifici per tenere sotto controllo il proprio debito.
4. Se un ulteriore bail-out della Grecia sembra incoerente con la costruzione europea, si può tuttavia porre il problema dei tempi e delle dimensioni del consolidamento fiscale. Questo è il secondo punto del programma di Syriza e raccoglie le simpatie del governo italiano e di altri partner europei. Il rigore fiscale non aiuta a superare le recessioni prolungate, ma questo non significa che la spesa in disavanzo sia sempre e comunque una via per la crescita. Nel caso della Grecia, questa politica creerebbe nuovo debito che il governo dovrebbe collocare sul mercato a tassi ben superiori a quelli che oggi gravano sul debito esistente. È noto che la spesa in disavanzo può essere utile in alcune circostanze e in alcuni paesi. Il problema principale è farlo in modo da non provocare un aumento eccessivo dei tassi d’interesse, che avrebbe l’effetto di spiazzare gli investimenti e quella crescita economica che si vorrebbe generare. I paesi che riescono a indebitarsi a tassi moderati sono quelli che dispongono di una ricchezza privata rilevante e che riescono a costruirsi nel tempo la reputazione di debitori virtuosi, capaci di contenere i disavanzi pubblici quando non fronteggiano una recessione. Inoltre, in assenza di una ripresa degli investimenti privati e della produttività, la maggiore spesa pubblica generata dal governo greco non farebbe che alimentare le importazioni e il disavanzo commerciale, che la Grecia è riuscita a contenere con grande fatica da poco tempo. I sacrifici dei cittadini greci di questi ultimi anni sarebbero completamente vanificati.
Il malessere non deriva dal rigore
Con queste considerazioni non intendo sottovalutare i problemi sociali che derivano dalla crescita della povertà in Grecia, ma sarebbe più corretto e onesto da parte di Tsipras chiedere all’Europa un maggiore e straordinario aiuto per affrontare questo dramma sociale piuttosto che invocare le virtù delle politiche keynesiane. Il malessere sociale dei cittadini greci non deriva principalmente dalle politiche rigoriste imposte dalla Germania, ma dall’incapacità dei governi greci di combattere l’evasione fiscale e utilizzare in modo efficiente le risorse pubbliche. Il Pil della Grecia oggi non è inferiore a quello che essa aveva al momento di entrare nella zona euro e, quindi, alla maggiore povertà di oggi corrisponde la maggiore ricchezza di qualcuno. Siamo sicuri che una parte delle risorse per ridurre le disuguaglianze in Grecia non possano essere trovate anche all’interno del paese?
Pietro Reichlin, LaVoce.InfoCollegamento esterno
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