Nell'aprile di 75 anni fa fu brevettato uno dei prodotti simbolo del design italiano: fa parte della collezione permanente del Museum of modern art (MoMA) di New York. È però anche un pezzo da museo dei trasporti e della tecnica, poiché fu un mezzo innovativo, oltre che destinato al successo commerciale. E la Vespa Piaggio.
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Non convinse subito tutti, anche perché aveva poco a che fare con una motocicletta: la trasmissione è senza catene, il cambio sul manubrio e il conducente praticamente seduto anziché a cavalcioni. Per di più, riparato dalla carrozzeria: al sicuro e pulito.
Del resto, a progettare la Vespa fu un ingegnere aeronautico, Corradino D’Ascanio. Libero da stereotipi, rispose alla richiesta di Enrico Piaggio di realizzare un motociclo alla portata di tutti. La Piaggio -azienda fondata a fine ‘800 e attiva nei settori metalmeccanico, ferroviario ed aeronautico- aveva attraversato più di una riconversione e doveva ora riprendersi dalla guerra.
Nella primavera del 1946, il primo modello del nuovo mezzo di trasporto, la 98, fu presentato al pubblico al Golf Club di Roma ed esposto al Salone del ciclo e motociclo di Milano.
Non alla portata di tutti il prezzo -da 55’000 a 66’000 lire, che all’epoca corrispondevano a più mesi di stipendio di un impiegato- ma di lì a poco i pagamenti rateali avrebbero facilitato l’acquisto.
Le caratteristiche inizialmente spiazzanti del mezzo si rivelarono funzionali. E così della seconda serie -che debuttò nel ’47 e offrì miglioramenti estetici e tecnici, inclusa una ruota di scorta- furono prodotti 16’500 esemplari. Per averne uno, ci volevano anche mesi.
Da allora, la Vespa è stata commercializzata in decine di varianti -incluse un’antesignana della city car e una siluro carenata- in almeno 15 milioni di pezzi.
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Dalle Teche RSI, alcune immagini d’epoca e il racconto di come, nel 1952, la Commissione intercantonale della circolazione espresse preoccupazione per come alcuni conducenti interpretavano l’idea di libertà incarnata dalla Vespa.
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