Nel chiudere ai rifugiati e all’Europa, la Svizzera si mostra profondamente europea
di Dario Fabbri (Limes)
Come ampiamente previsto dai sondaggi, domenica scorsa la destra populista ed anti-europeista ha trionfato alle elezioni politiche svizzere. In una campagna elettorale dominata dal tema dell’immigrazione e dal rapporto del paese con l’Unione Europea, hanno avuto la meglio i partiti che propongono maggiore chiusura nei confronti degli stranieri e una revisione degli accordi tra Berna e Bruxelles. Un rigetto che, a dispetto della peculiarità propugnata dai nazionalisti, pone la Svizzera al centro del contesto continentale.
Ad affermarsi alle urne è stata soprattutto l’Unione Democratica di Centro (Udc), un partito fautore di un programma smaccatamente conservatore. L’Udc ha ottenuto quasi il 30% dei voti (29,4%) e conquistato 65 seggi nel Consiglio nazionale, la camera bassa del parlamento federale, 11 in più rispetto al 2011. A questo si aggiunge l’ottimo risultato del Partito Liberale Radicale (Plr), un soggetto politico maggiormente moderato e liberista, che con il 16,4% dei voti s’è aggiudicato 31 seggi. Insieme i due partiti di centro-destra controllano adesso 96 dei 200 deputati di cui è composto il Consiglio nazionale. Grande sconfitta invece la sinistra elvetica. A partire dal partito socialista che, benché quasi stabile in termini di preferenze, scende a 46 seggi (tre in meno rispetto al 2011). Mentre i verdi, giunti divisi alla consultazione elettorale, perdono congiuntamente 9 deputati.
L’Udc ha saputo magistralmente cavalcare la diffusa ostilità dei cittadini nei confronti dei migranti (anche quelli europei) e dei rifugiati, percepiti come una minaccia per una società già ampiamente multietnica, in cui circa un quarto degli abitanti è di origine allogena. D’altronde, ancorché di impatto inferiore rispetto ad altre regioni del continente, la crisi economica si è riversata anche sulla Confederazione ed ora gli autoctoni temono maggiormente la concorrenza degli immigrati, frontalieri italiani compresi. Una diffidenza già espressa nel referendum del 9 febbraio 2014, quando il 50,3% degli elettori promosse la proposta di contingentare l’ingresso di manodopera straniera e dunque di rivedere i termini della convenzione di Schengen, alla quale Berna aderisce nonostante non sia membro dell’Unione Europea. Inoltre l’opinione pubblica elvetica vorrebbe rivedere in senso restrittivo la normativa riguardante i richiedenti asilo, giacché la Svizzera riceve ogni anno oltre 100mila domande in materia e l’esodo proveniente dal Medio Oriente lascia prevedere un incremento del fenomeno.
Nell’immediato l’obiettivo dell’Udc è occupare almeno due posti nel Consiglio federale, l’organo esecutivo composto da sette membri eletti dal parlamento, e imporre una svolta conservatrice alla politica elvetica, finora informata soprattutto dalla volontà dei socialisti. Quindi il partito guidato da Toni Brunner mira a ridurre drasticamente l’ingresso degli stranieri e a rinegoziare gli accordi stipulati con Bruxelles in tema di libertà di circolazione. Nella convinzione di preservare così l’insularità svizzera e difenderne il carattere nazionale. Senza comprendere che, piuttosto, tali istanze appaiono perfettamente in sintonia con il sentimento dell’opinione pubblica continentale. E rendono la Svizzera nettamente più europea e meno elvetica.
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