Perché la caduta di Aleppo non porrà fine alla guerra civile siriana
Con la semi-definitiva resa di gran parte dei ribelli, la città di Aleppo è a un passo dal tornare nelle mani del regime di Damasco. Così Assad rientrerà in controllo di tutti i principali centri urbani del paese, vincitore militare della guerra civile siriana. Eppure l'insurrezione armata è destinata proseguire ancora a lungo. Finché resterà la volontà della popolazione sunnita di acquisire quote di potere e finché le principali potenze mediorientali non accetteranno il ripristino dello status quo.
Con la ritirata dei guerriglieri sunniti (legati ad al-Qaida, alle petromonarchie del Golfo e ad alcuni apparati statunitensi), Aleppo è già nella disponibilità del regime alauita, salvo alcuni quartieri nella parte orientale della città. Con la sua riconquista, la cosiddetta “Siria utile” appartiene nuovamente allo Stato centrale. A determinare tale esito è stata soprattutto la consapevolezza delle truppe alauite di combattere per la propria sopravvivenza e il sostegno fornito loro da iraniani, libanesi e russi. Nonché la decisione della Casa Bianca di puntellare indirettamente proprio Damasco, svolta perseguita surrettiziamente dall’amministrazione Obama a partire dal 2014 e ora annunciata ufficialmente dall’entrante presidenza Trump.
Nelle prossime settimane le truppe lealiste completeranno la bonifica dei territori e delle enclaves poste intorno alle principali città (Damasco, Homs, Aleppo), rinsaldando inoltre le loro posizioni sulla fascia costiera, heartland alauita. Ma l’insurrezione non terminerà. Non solo perché le Forze Armate del regime, comprese le straniere milizie sciite, sono troppo logorate per sedare definitivamente la rivolta. Né soltanto perché i russi nel medio periodo ridurranno gli sforzi bellici, specie se l’amministrazione Trump dovesse (apparentemente) consentire a Mosca di utilizzare in Ucraina il credito acquisito in Siria.
La sollevazione si manterrà endemica soprattutto a causa della natura artificiale della Siria, dell’agenda delle nazioni mediorientali e della non inclusività del governo damasceno. La maggioranza della popolazione siriana, di confessione sunnita, continuerà a perseguire militarmente (in forma di milizia o tribale) un maggiore riconoscimento delle loro istanze da parte della minoranza governativa di fede sciita-alauita. Con il sostegno finanziario e logistico delle principali potenze del Golfo (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi), tuttora intenzionate a sottrarre ciò che residua della Siria all’influenza iraniana, peraltro destinata ad aumentare a causa dell’immense difficoltà finanziarie di Assad.
Così lo Stato Islamico, altra dimensione del malumore sunnita, resterà a lungo al suo posto, nonostante la composita offensiva militare lanciata ai suoi danni. Capace anche di mutare bandiera e forma, sopravvivendo in quanto soggetto politico. Mentre la Turchia, destinata a rincorrere le proprie ambizioni imperiali, vorrà annettersi informalmente parte del territorio siriano, in contemporanea con la battaglia di Mosul in Iraq, anche per impedire ai curdi del Rojava di allacciarsi al Kurdistan interno.
Ineludibili ragioni strutturali e geopolitiche che determineranno il proseguimento delle ostilità siriane. Anche dopo la caduta di Aleppo.
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