Perché la Svizzera si smarca dal cambio fisso
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La Banca Centrale Svizzera (BNS) ha sorprendentemente deciso di abbandonare il tasso di cambio fisso del Franco verso l’Euro. La parità era stata fissata nel 2011 per contenere la tendenza all’eccessivo apprezzamento della valuta elvetica rispetto all’Euro. Il motivo era semplice. Durante la crisi del 2011, grandi flussi di capitale si muovevano dall’Euro verso valute considerate rifugio, di cui il Franco Svizzero è emblema.
Salvaguardare la parità del cambio richiedeva alla BNS di vendere attività denominate in Franchi per acquistare attività finanziarie denominate in altre valute estere diverse dal Franco; in tal modo esercitando una pressione al ribasso per il Franco, e quindi compensando la spinta al suo apprezzamento derivante dai flussi di capitale. Questa strategia era diventata sempre più costosa, alla luce della crisi Russa degli ultimi mesi. Con tale crisi, infatti, massicci flussi di capitale cercavano una fuga dal rublo verso investimenti più sicuri. Era evidente, però, che la BNS non poteva sostenere la parità troppo a lungo. L’imminenza della decisione della Bce sul Quantitative Easing ha fatto rompere gli indugi.
Sono tre le considerazioni che appaiono rilevanti.
Primo, la decisione della BNS ci conferma, in modo forse definitivo, che le misure di Quantitative Easing della Bce sono una quasi certezza. Resterà ovviamente da capirne i dettagli, ma evidentemente le stesse autorità di politica monetaria di altri paesi considerano la decisione come scontata (o hanno ricevuto, strategicamente, informazioni dettagliate al riguardo).
Secondo, è paradossale notare come la Svizzera si trovi nella stessa situazione in cui si trovano tipicamente alcuni Paesi in via di sviluppo che devono gestire massicci flussi di capitale dall’estero verso il loro interno. Tali flussi portano a un sovrapprezzamento del cambio nominale e, quasi uno a uno, anche del cambio reale. Esempi recenti vengono da Brasile, Turchia, India, etc.. La lezione più importante per la politica monetaria, appresa in questi anni, è che la gestione di questi flussi di capitale è molto complessa. Si tratta di una questione centrale nell’economia monetaria internazionale che è ancora lontana da una soluzione. Lo testimonia il fatto che il Franco ha subito un apprezzamento iniziale di quasi il 30 percento (poi ridottosi al 15) nonostante la BNS abbia portato il tasso sui depositi presso la Banca Centrale ad un livello negativo (e decisamente più negativo di quanto fatto in precedenza dalla Banca Centrale Svedese). Gli effetti, almeno per ora, sono stati deludenti, a testimonianza di quanto difficile sia gestire i tassi di cambio in un mondo ad alta velocità di circolazione dei capitali. Una lezione altresì importante per chi pensa a salti all’indietro per il nostro Paese a tempi in cui il cambio della Lira era libero di fluttuare.
Paesi come la Turchia hanno fatto ricorso a misure del tutto innovative per gestire flussi massicci e persistenti di capitale (soprattutto quando si tratta di investimenti a breve termine in titoli di debito e/o azionari, come è principalmente il caso in Svizzera). Ad esempio, manovrando non solo il livello dei tassi interesse, ma anche la loro volatilità, con l’obiettivo di generare maggiore o minore incertezza per gli investitori riguardo alla profittabilità futura di un acquisto di asset denominati nella valuta locale. Sarà interessante vedere quanto creativa sarà la BNS nella gestione del tasso di cambio. Certamente potrà fare ricorso in modo molto limitato a variazioni sui tassi di interesse, dato che già hanno raggiunto territorio negativo. Non è quindi da escludere che la BNS metta in atto misure di restrizione dei flussi di capitale, ad esempio sottoforma di tasse.
Il quadro di fondo è quello di un sistema finanziario internazionale in cui permane una ricerca spasmodica da parte degli investitori di impieghi in asset considerati “sicuri”. Questo sintomo rimane preoccupante, perché segnala che l’economia mondiale non è ancora pronta a indirizzare la propria liquidità in modo permanente verso investimenti rischiosi. In altre parole, un’ alta preferenza per la liquidità e una bassa velocità di circolazione della moneta rimangono ancora caratteristiche ben presenti nei mercati monetari e del credito.
Terzo, l’apprezzamento del Franco costituisce un formidabile (e in qualche modo inatteso) shock negativo per l’economia svizzera. In tempi normali, il costo di una minore competitività delle imprese viene (anche se parzialmente) compensato dai benefici di una minore inflazione importata. Ma in una economia che ha raggiunto il limite zero sui tassi di interesse nominali, minore inflazione si traduce in maggiori tassi di interesse reali (cioè i tassi nominali, che sono zero, al netto dell’inflazione), esacerbando l’effetto depressivo sull’economia. Per contro, la spinta deflattiva in Svizzera è una piccola buona notizia per il resto dell’Europa agganciata all’Euro, perché ne favorisce la ripresa di competitività relativa, soprattutto nel Sud. Ma ovviamente è di ben altro che ha bisogno l’Europa per risollevarsi dalla più grande crisi del dopoguerra.
Tommaso Monacelli, lavoce.infoCollegamento esterno
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